True Detective: la metafisica e la teologia cristiana in un capolavoro contemporaneo

ANALISI E ANAMNESI BY MINSTREL & CLAUDIO

Rusty (in peace?)

Rusty (in peace?)

“Cosa ci facevi a Parigi?”
“Essenzialmente mi ubriacavo
di fronte a Notre Dame…”
Rust Cohle
(True Detective – 1° stagione)

 

Perché un blog con una linea editoriale come la nostra dovrebbe prendersi la briga di aprire una riflessione sulla prima stagione di un serial TV come True Detective?
Questa è una domanda ragionevole, ma che solo chi non ha visto la stagione in questione può fare a cuor leggero. Il serial infatti mette in campo un vero e proprio spaccato di mentalità contemporanee, assegnate dallo script ai personaggi in modo tanto esemplare quanto intelligente. L’analisi di queste mentalità porta dritti alla possibilità di riflettere sulle metafisiche antiumane (consapevoli o meno) che guidano questi archetipi narrati sullo schermo. E da questa riflessione, si coglie quindi quello che a par nostro è lo straordinario lascito di questa prima stagione di True Detective: di fronte al male l’uomo non può che spogliarsi delle proprie maschere, ponendosi di fronte al suo limite di creature immersa nel peccato originale. Ma il naufragare in un male incomprensibile, rende possibile l’esperienza “mistica” di un amore che “crea”.

Questa è dunque la conclusione a cui giunge la prima stagione di un crime serial nel quale la ricerca dell’assassino è mero pretesto narrativo per narrare due affreschi che hanno il nome e la faccia di Woody Harrelson e Matthew McConaughey, mentre l’assassino e l’ambiente che crea intorno a sé non è altro che la nemesi necessaria per il finale devastante.

Tre sono le figure archetipiche riprodotte che ci appaiono degne di una riflessione su Croce-via: il nichilista alla Schopenhauer (Rust -Rusty-  Cohle), il pragmatico ingannatore di sé stesso (Martin -Marty- Hart) e la misera banalità schifosa del male (Errol, il serial killer). Tramite un sottile gioco narrativo questi archetipi si stagliano grandiosi in una selva di altre figure umane disperate e in ricerca.

 

03RUSTY

Rust Cohle si presenta da solo:

Ognuno è così sicuro del proprio essere reale, e che la propria esperienza sensoriale abbia costituito un individuo unico dotato di scopo, di significato. Sono così sicuri di essere qualcosa di più di di una marionetta biologica. Beh, poi esce la verità e tutti si rendono conto che una volta tagliati i fili tutti cadono. Ogni corpo immobile così certo di essere qualcosa in più della semplice somma dei propri bisogni, tutte quelle giravolte inutili, le menti stanche… Uno scontro tra desiderio e ignoranza. Nel momento della morte capisci che tu, proprio tu, tutto questo grande dramma non è mai stato altro che un coacervo raffazzonato di presunzione e stupida volontà. E puoi semplicemente lasciarti andare, finalmente, adesso che non devi più aggrapparti così forte per renderti conto che tutta la tua vita, tutto il tuo amore, il tuo odio, i tuoi ricordi, il tuo dolore era tutto la stessa cosa.
Era tutto lo stesso sogno, un sogno che hai avuto dentro una stanza chiusa. Un sogno sull’essere una persona
”.

Eppure dietro a questa maschera di pessimismo cosmico leopardiano si cela un uomo chiuso in un’etica ferrea, consapevole dell’esistenza di una giustizia (cerca infatti fino alla fine l’assassino, anche a costo di farlo come investigatore privato senza essere pagato), dell’esistenza del “male” (epocali le sue uscite su “ciò che ha visto”) o della “verità”. Colpisce il suo personaggio perché appare onesto e senza illusioni di sorta. Conosce il male e lo cerca, lo disegna in modo ossessivo, con dettagli inenarrabili. Coglie che disegnare il male commesso da altri è cercare di penetrare una verità estranea all’uomo. Ma non è affascinato da questo male, ne è schifato piuttosto! Eppure si circonda di male, come se la sua vita potesse ricevere vita proprio da questo male, come se egli si sentisse “bene” perché il male altrui che lo circonda gli descriva ciò per cui ha senso ancora vivere, soprattutto dopo la morte della sua unica figlia e il matrimonio andato a rotoli. Sembra dunque che per lo meno il personaggio sia onesto, ma non è vero. Ha ben ragione Marty, il suo compagno di lavoro durante l’indagine iniziale, a dire che per quanto le parole di Rust sembrano descrivere perfettamente la realtà, lui è il primo a non crederci.! Ed è una grandissima verità perché Rust non sarebbe il personaggio che è se non avesse la contraddizione che lo spinge ad aiutare le persone che egli ritiene, per sua metafisica, semplicemente inesistenti, semplicemente illusorie e a perseguire una giustizia che secondo la sua filosofia non sarebbe altro che un concetto vuoto. Perché circondarsi di un male che non è nemmeno tale se fatto a “semplici sogni fatti in una stanza chiusa”? Perché soffrire ancora tanto per una bambina che semplicemente non era nulla? Cosa è questo dolore atroce?

Rust si illude che una semplice metafisica che annulla la realtà possa trasportarlo in un nirvana catartico dove nulla ti tocca. Ma per sua fortuna questo non è possibile poiché ogni cosa che sente, vede, vive, fa, si scontra con la sua sensibilità enorme, con il suo senso comune e il suo senso etico naturale. E non stupisce che la sua casa sia il ritratto della sua metafisica: vuota, spettrale, irreale, anti-umana. E tale casa è davvero il ritratto della sua anima, comprese le pareti piene di suoi disegni che ritraggono delitti, di fotografie raccapriccianti, di sue scritte, frecce, collegamenti. La ricerca della giustizia contro un male che è l’unica cosa che egli sente ancora come reale e che gli distrugge quella pace illusoria che egli vorrebbe raggiungere con la sua metafisica devastante.

Una metafisica in cui, ovviamente, il giudizio sul cristianesimo e sui cristiani non può che essere lapidario, glaciale, senza appello; giudizio esplicitato magistralmente nel seguente discorso, pronunciato davanti ad un inorridito Marty mentre i due indagano sui componenti di una Chiesa pentecostale:

Se l’unica cosa che fa comportare decentemente una persona e l’attesa di un premio divino, quella persona è un pezzo di merda. E mi piacerebbe sbugiardarli tutti quanti se possibile. Dovete riunirvi tutti insieme e raccontarvi storie che violano ogni legge di gravità solo per sopravvivere attraverso la maledetta giornata? La dice lunga sul loro tipo di realtà….Io vedo tendenza all’obesità, Povertà. Un desiderio smodato di favolette. Gente che butta i pochi spiccioli che possiede in un cestino di vimini. Penso sia pacifico affermare che qui nessuno dividerà l’atomo…”

 

06MARTY

All’opposto di Cohle, Martin Hart è il ritratto della felicità illusoria da campagna pubblicitaria: in carriera con un lavoro gratificante, proprietario di una bella casa dove vive con una famiglia apparentemente felice, una splendida moglie casalinga, credente ‘tiepido’, due figlie senza problemi e il bowling con gli amici, alla Homer Simpson, una volta a settimana. Basta poco e si comprende al volo come gli atteggiamenti di Marty non siano altro che i comportamenti di una maschera, di un personaggio diverso dall’uomo che è Martin Hart: sempre pronto a farsi giustizia da solo, padre assente, la cui serenità famigliare assomiglia piuttosto ad una pseudo pace borghese dove si nascondono frustrazioni ed infedeltà. Nel personaggio di Marty Hart è dunque più chiara la finzione e la disonestà con cui vive la propria vita rispetto a Cohle. Entrambi comunque sono schiacciati da una simulazione che non corrisponde al loro vero sentire interiore ; due uomini imprigionati in una gabbia autocostruita, per sopravvivere e non doversi affrontare per quello che sono.

Emblematica la scena in cui Marty osserva per la prima volta il male vero e selvaggio, di fronte ai bambini sequestrati dal criminale che ha appena fermato con Rusty, ritrovati seminudi e denutriti in un garage disperso nella campagna: la sua reazione è da fuori legge, da persona che non accetta il mistero del male e si danna a compierlo personalmente. Credo sia questa la chiave di lettura della pistolettata con la quale egli uccide a sangue freddo il sequestratore.

 

04ERROL

E poi l’assassino seriale. E’ un personaggio volutamente senza storia. E’ davvero una maschera in tutti sensi. Egli non è una persona umana, ma è la quotidianità del male assurta a forma umana aristotelicamente intesa! Perché l’assassino, che per la storia poteva benissimo essere solo il pretesto per narrare le finzioni dei due protagonisti, è illustrato comunque in modo straordinario proprio per la sua rozzezza nel tratteggio. I dettagli sulla sua vita privata sono pochi, vengono svelati alla fine e sono tutti raccapriccianti nel vero senso della parola: la casa dove abita è asfissiante, rivoltante; la compagna con cui vive è letteralmente ripugnante; la scena in cui comincia a far sesso è quanto di più disgustoso si possa vedere. Ma tutto questo non perché le scene in cui pervade il male siano le cosiddette classiche scene “forti” – noi giovinastri cresciuti a pane e Takashi Miike non soffriamo di questi problemi – ma al contrario perché sono scene “quotidiane”, banali, è  quello che sarebbe la vita di ciascuno di noi (con il lavoro, la famiglia e gli affetti, la casa, il giardino da tenere) se fosse completamente intrisa di male.

Per assurdo narrativo dunque l’unico che davvero non maschera la propria vita di fronte ai suoi affetti è l’assassino . Un ‘cattivo’ che non ha nulla di nobile, e le cui motivazioni non hanno nulla di affascinante o di ‘interessante’ , sia anche solo dal punto di vista patologico, a differenza di altri suoi antenati ‘patrizi’ della storia del cinema (basti pensare a Jigsaw di Saw o Hannibal Lecter de ‘Il Silenzio degli Innocenti). Il serial killer è semplicemente una vittima diventata carnefice, come tanti altri; “quello che mi hanno fatto, io lo farò ad ogni figlio dell’uomo” Questo è tutto ciò che sappiamo di lui. Di nuovo, il male nella sua mediocrità più quotidiana. Di nuovo, il male nella gratuità maledetta dell’ingannatore, del demonio beffardo e bastardo, che fa restare ammutoliti di fronte a quell’ “orrore” che ci ricorda il Kurtz morente dell’immenso finale di cuore di tenebra e il Brando di Apocalypse Now.

Ora: chi vuole vedere la serie tv finisca qui la lettura del post. Chi ha già visto o vuole rovinarsi il finale prosegua pure…

AND LIKE A LOT OF DREAMS, THERE’S A MONSTER AT THE END OF IT…

Ad un certo punto della serie, i ‘nostri’ sembrano aver vinto; chi si credeva fosse l’assassino viene fermato, Marty e Rust vengono considerati degli eroi, il più classico degli happy ending. Ma anche questa è una menzogna; magari consolatoria ma insopportabile e destinata a collassare, travolgendo chi per comodità ci si è adagiato sopra. La maschera di finto perbenismo di Marty collassa sotto il peso dei suoi tradimenti e della sua sostanziale superficialità, portando alla distruzione del suo matrimonio e del suo rapporto con le figlie. La presunta impassibilità di Rust crolla quando si rende conto che non solo l’assassino e ancora a piede libero ma che nessuno ha intenzione di cercarlo davvero, cosa che lo spinge ad abbandonare la polizia e a rovinare del tutto il suo rapporto con Marty, la cosa più simile ad un amico che Cohle abbia mai avuto.

In questo contesto, in un continuo gioco di flashback e flashforward che contraddistingue lo strepitoso script, si giunge al gran finale: ora che abbiamo descritto i personaggi, crediamo sia facile comprendere la sua grandiosità. I nostri si rincontrano dopo dieci anni. Cohle è , smagrito, beve perennemente e vive come una sorta di eremita, separato dal mondo. Sembra l’immagine della sconfitta, o la logica conseguenza di cio’ che si era detto prima di lasciare la polizia, in una sorta di disperata auto-condanna che ricorda da vicino l’Eterno Ritorno di Nietzsche:

” Non voglio sapere più nulla. A questo mondo nulla può essere risolto. Qualcuno una volta mi disse che la vita è solo un circolo ripetitivo Tutto ciò che abbiamo fatto o faremo, saremo costretti a ripeterlo ancora, ed ancora, ed ancora. E quel ragazzino e quella ragazzina saranno ancora in quella stanza, sempre e per sempre e per sempre”.

Cionostante, anche qui Cohle non crede alla sua stessa filosofia; ha continuato ad indagare ininterrottamente sul caso, e coinvolge un inizialmente riluttante Marty nella ricerca del serial killer; assassino che viene finalmente stanato, ma quasi a costo della vita di entrambi i protagonisti , i quali, dopo la cattura,lottano fra la vita e la morte per settimane in ospedale.

Fino alla scena finale: Marty è oramai guarito e Rust può uscire dalla camera in carrozzina. E li, sotto un cielo stellato che Kant si sognava di notte, circondati da luci al neon ospedaliere, Cohle rinuncia alla sua maschera e si narra completamente ad un Marty oramai separato e che ha tutto da ricostruire.

Rusty si abbandona così per la prima volta alle lacrime, facendo finalmente i conti con quei sentimenti che aveva disperatamente cercato di allontanare dopo la morte della figlioletta. Nel suo discorso finale, esprime il suo il rimorso per aver incontrato (nei primissimi episodi) il killer faccia a faccia (quando ancora non poteva sapere chi aveva di fronte),  il fatto di dover essere grato a quello che è l’unico amico che abbia mai avuto ma soprattutto l’accettazione di essersi sbagliato: durante il coma, cioè in quel ‘nulla’ tanto ricercato e desiderato in cui Cohle desiderava abbandonarsi in un non-essere puro, ritrova la sua bambina

“Ero sparito. Non esisteva ‘io’. C’era soltanto amore… e allora mi sono risvegliato.

E a noi tutta la scena finale sembra la descrizione del beato, del mistico che osserva “il cielo”, dell’abbandono completo all’essere per sé sussistente che ci dissolve e per contrasto ci porta a compimento.

E non si pensi sia la mera, e alquanto trita, storia di conversione post near death experience, quanto, come ha dichiarato l’autore Nic Pizzollatto in una intervista, la storia di un allargamento di prospettiva. In True detective tutti i personaggi si raccontano bugie (ed è un topos oramai nei serial americani dopo lo straordinario Six Feet Under); Marty si racconta di essere un amorevole e soddisfatto marito e padre di famiglia, Rust si racconta di non credere in niente, la polizia si era raccontata di aver fermato l’assassino… finalmente proprio Rust, l’uomo che aveva sempre sostenuto che non ci fosse luce in fondo al tunnel, alla fine di una ricerca della verità tanto negate a parole quanto tenacemente perseguita nei fatti, si ritrova a dire, con voce rotta dal pianto e dalla meraviglia:

“Una volta c’erano solo le tenebre. Se me lo chiedessi ti direi che la luce sta vincendo”.

 Un capolavoro.



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30 replies

  1. Ci dai indicazioni utili per vederlo? 🙂

    • In che senso Don? Dove trovarlo? Dove lo trasmettevano? Quando esce la nuova stagione? 😀

      • Beh trovarlo col torrent non è difficile. Però c’è il problema della lingua perché anche coi sottotitoli non è facile capire a motivo della pronuncia impossibile: insomma io ho desistito dopo la prima puntata visto che coi vari flashback non ci capivo un tubo. Era molto più facile con Prison Break e NCIS 🙂

        • si, non e’ esattamente l’inglese della Regina, tra accento tremendo e slang anche io l’ho visto coi sottotitoli in inglese…in giro si trova la versione in streaming coi sottotitoli in italiano, don.Una buona vecchia googlata True detective Ita dovrebbe funzionare….mando link a Minstrel, just in case…

          • Sono iscritto su italiansubs per cui ho già i sottotitoli in italiano di tutta la season. Ritento e scarico qualche puntata…

          • Naturalmente in attesa del bluray con poster, cartoline, giochi in scatolaricchipremiecotillons che piglierò di sicuro. E no, non sto scherzando. 😀

          • Fidati Don.
            Poi ci sta che ci possano essere, a seconda dei proprio gusti, dei momenti in cui piglia di più e altri di meno.

            Personalmente, attratto come sono dai caos registici formali alla Lynch, ho goduto come pochi per il continuo flashforwarding. Comunque superate le prime due puntate tutto si rende comprensibile e a 3/4 di stagione si cavalca sul solo “today” alla grande.

            Naturally ci sono puntate di sex drugs and fuckin’ sins, non vederlo con la perpetua in giro o con il gruppo “pre-ado” nei paraggi! 😀

  2. Non l’ho visto poichè non guardo la tv.
    Da buon videogiocatore incallito posso dire che, almeno rispetto a quanto raccontate, ho trovato qualcosa in più -passando pure molto tempo a rifletterci- in tutta la serie di Metal Gear (e attendo con ansia l’uscita del prossimo).

    • Questo è davvero interessante, io sono l’esatto opposto perchè non ho mai giocato a quel gioco quindi non so nulla. Sarebbe bello saperne di più 🙂

      • Su Ebay si trovano i vari videogiochi.
        Puoi trovare la HD collection che comprende il secondo ed il terzo (ma devi avere o la xbox360 o la ps3).
        Per il primo devi avere la storica psx o installare un emulatore sul pc. Per il quarto devi avere esclusivamente la ps3.
        Per il quinto devi pazientemente aspettare.
        Però guarda, non è semplice “videogioco” ma è “storia”. Tutti capolavori con filmati che durano più del tempo che ci metteresti a terminare il gioco.
        E la cosa bella è che il gioco di regola va finito senza ammazzare nessuno, anche se volendo hai un arsenale con cui puoi fare fuori tutti, ma cosi facendo non avresti capito la filosofia di Metal Gear (che non è altro che un viaggio nell’anima dell’uomo).
        Kojima non è uno qualsiasi e per sviluppare un “suo” videogioco prima di metterlo sul mercato ci mette minimo quattro anni.

        • Dimenticavo, se proprio vuoi iniziare devi partire dal primo…

          • E se invece non ci fai tu un bell’articolo “attira ggiovani” simile a questo in cui ci spieghi come può essere che un videogioco sparatutto di blood and war possa essere un viaggio nell’anima umana?! Caspita sarebbe davvero un gran dittico True Detective-Metal Gear! Dopo voglio vedere se non ci sono giovani che non si cominciano ad interessare ad alcune tematiche filosofiche! 😉

            thinking about it!

            PS: si, lo so che abbiamo in sospeso ancora un tuo articolo
            PPS: certo che se ne scoprono proprio di belle nuove con il tempo di voi lettori di Croce-via! Che bello! 😀

  3. Minstrel, MG non è uno “sparatutto”. Certo qualche giocatore può farlo diventare cosi eliminando tutti i nemici, ma chi fa questo è un pazzo assoluto che di Mg non ha capito nulla: il meglio (anche come bonus) da quel gioco lo ottieni solo se lo termini con “uccisioni 0” “allerte zero”.
    Snake sa che è un soldato ma è anche un uomo, e come ogni uomo come noi che è venuto al mondo per poter nascere ha combattuto una guerra che ha lasciato miliardi di morti sul campo…
    E’ troppo lunga da raccontare e poi la storia non è ancora finita, quindi non so nemmeno io come andrà a finire. Certo è che Snake non si è mai interrogato solo sul fattore genetico, ma è pure in cerca di qualcosa altro o qualcun Altro…

    • Cmq Wikipedia a grosse linee di Metal Gear ci dice questo:
      ” La saga è famosa per la sua impostazione fortemente cinematografica e per l’esplorazione di temi filosofici quali guerra, ambientalismo, ingegneria genetica, censura, intelligenza artificiale, lealtà, soggettivismo contro oggettivismo e molti altri. Per questo motivo è considerata uno dei maggiori esempi di “arte videoludica”. “

  4. Salve a tutti.
    Vi leggo spesso anche se è la prima volta che commento, ma anche io sono rimasto a dir poco affascinato da questa serie incredibile e finora non avevo avuto modo di discuterne con qualcuno (ahimè i miei amici hanno generalmente altri interessi) e mi è sembrata un’ottima scusa per farmi avanti.
    SPOILER!! – Se non avete visto tutta la prima stagione non andate oltre
    La serie è a parer mio un capolavoro già dal punto di vista cinematografico, si potrebbero lodare per ore le sceneggiature, gli attori, quell’incredibile piano sequenza di 6 minuti tutti attaccati alla fine del quarto episodio, la fotografia… ma ovviamente non siamo qui a parlare di questo. Mi ritrovo completamente nelle vostre considerazioni, così volevo solo aggiungere qualche pensiero meno “metafisico” e più da sempliciotto.
    Spesso nel corso degli episodi mi è sembrato che si creasse una contrapposizione tra la religiosità mondana e corrotta della setta e quella di Cohle, simboleggiate soprattutto dai diversi crocifissi: quelli della setta sempre vistosi, in vetro colorato o altri materiali molto “artificiali” e sempre immancabilmente privi del Cristo, come a voler rinnegare il Suo dolore, mentre per Cohle un semplice crocifisso in legno appeso in una stanza completamente spoglia, con cui egli stesso già all’inizio dice di meditare la Passione. In generale ho apprezzato questa contrapposizione, anche se bisogna dire che il telefilm sembra un po’ avercela con ogni forma di religiosità organizzata per strizzare invece l’occhio a una fede strettamente personale.
    Questa fede che si fonda strettamente sul sacrificio torna in maniera evidente alla fine, quando come voi avete notato Cohle sembra un beato, questo proprio dopo che ha imitato (più o meno insomma..) il Cristo in croce, e anche i giorni trascorsi in coma sembrano evocare i giorni prima della Resurrezione. Nella stupenda scena finale questa imitazione l’ho vista espressa anche visivamente con i suoi capelli lunghi e il camice ospedaliero che ricorda molto la Sindone… poi vabbé, c’è la sigaretta, ma abbiamo tutti i nostri vizi 😀

    • Allora non sono pazzo (o perlomeno, non sono l’unico). Cohle che riflette sul ‘permettere la propria Crocifissione’, che incontra e ‘scaccia’ tutta una serie di ‘demoni’,che scende agli Inferi, che proprio quando sembra essere sconfitto, ha in realta’ avuto la sua piu’ grande vittoria…sicuro dal punto di vista visivo i richiami ci sono tutti (il capello lungo e scarmigliato, i lividi sul volto, l’abbraccio di Marty a un Cohle apparentemente ‘morente’ a Carcosa, il camice che sembra un sudario…).

      Mi piace tantissimo (e non l’avevo notata) questa contrapposizione tra la croce vera e le varie croci di plastica, che ben descrive un cristianesimo ‘oppio dei popoli consolatorio e da marketing’ (appunto, cristianesimo ridotto a favoletta utile per non pensare al dolore ed arricchirsi alle spalle dei gonzi)che come tutte le altre menzogne che si raccontano durante la serie travolge chi ha finto di crederci; pensa a Tuttle, o pensa al pastore ‘licenziato’ dopo aver trovato le foto pedofile (quello di ‘Per tutta la vita ho cercato di essere vicino a Dio; l’ho trovato ora, nel silenzio)a cui Cohle sembra quasi esprimere una ‘solidarieta’ umana (nei limiti di Rust, ovviamente). Grazie PanBagnato!

  5. Minstrel, metal gear non e’ uno spara spara, comunque e’ pieno di videogiochi anche spara spara che sono “viaggi nell’animo umano”.
    Bioshock ne e’ un abusato esempio, largamente ispirato ai romanzi di Ayn Rand, che esplora i temi politici e morali, individualismo e collettivita’, potere e assoggettazione delle masse, libero arbitrio e dovere sociale. Se hai presente Ayn Rand insomma Bioshock prova a mostrare la fine di “Atlas”.

    Se non hai presente la Rand, piu’ o meno diciamo che prova a esplorare la teoria dell’ “Oggettivismo”, ovvero una societa’ senza alcuna norma o struttura sociale ad esclusione del denaro. Le motivazioni, conseguenze, speranze e “destino” di una societa’ cosi’ concepita.

    Ma non e’ di certo l’unico sparatutto o action game con una storia degna di un romanzo… da F.E.A.R. a Mass Effect, da The Witcher 2 a Spec Ops: The Line.

    Il mezzo ludico si e’ evoluto, cosi’ come le serie TV, da “comic relief” pomeridiano a occasione di poter portare avanti un arco narrativo non per 2/3 ore ma per 30/40/50 trattando cosi’ diversi temi spessi…

  6. Ciao. Sarò una nostalgica ma per me il capolavoro rimane The Matrix anche se non ho visto questa serie che descrivi.
    Quindi ho anche pronto il nick per presentarmi nel vostro blog. Arrivo dai commenti nel blog di Tornielli dove claudio mi ha fornito il link.

    • Benvenuta trinity! Matrix è filosofia allo stato brado (temo fin troppo in certi punti non controllati) esattamente come cloud atlas. Resta naturalmente un must see! Se guardi truuu detectiiiiiv facci sapere come ti è sembrato. 🙂

      • Cloud Atlas <3
        I Watchowsky fra i sequel di Matrix (che non reputo così ignobili come molti, ma comunque registicamente pallosi) e quell'edulcorato V li avevo liquidati… Ma Cloud Atlas è uno dei miei film preferiti di sempre.

        -7 mesi a Jupiter Ascending….

  7. Solo filosofia allo stato brado? Ma poveri, han pure speso un capitale e tu me li liquidi così? C’è da dire che il capolavoro è il primo matrix. La seconda e terza parte è giusto per chi vuol vedere la Bellucci 😀
    Nelle parole di Rusty che hai riportato all’inizio ho sentito riecheggiare molto del mio matrix…ma può essere pure una mia fissa 😉

  8. Ho fatto notte fonda qui sul blog a leggere alcune vostre discussioni
    (ma quanto scrivete?!??)
    E sì ok a questo punto matrix (m minuscola) un pò filosofia brada lo è.
    Mica avevo capito subito che eravate fini pensatori.
    Per la maggioranza di quelli che conosco matrix è un film di fantascienza…
    A vedercela un pò di filosofia, seppur brada!
    P.s. a me Matrix Primo continua a piacere comunque.
    E un’altro mio preferito (per filosofeggiare ancora meno e andare al sodo) è Holy Smoke della Jane Campion, per me sottovalutato dalla critica.
    Scusate se vi abbasso il livello del blog 😛

    • A chi non è piaciuto Matrix? Un film culto che è sempre piacevole rivisionare e che pone delle domande interessanti: filosofia pop.

      Non che la la filosofia pop sia da disdegnare, in quanto è probabilmente il massimo che la media pop, appunto, possa formulare ed è probabilmente quella che un blog deve poter indirizzare.
      In questo senso, questo post di Minstrel e Claudio è più che benvenuto.

      Quanto a me sono un fan della serie su quattro anni Battlestar Galattica (l’ultima non quella degli anni ’70): forse ci farò presto un articoletto per dire perché mi piace e quali questioni di filosofia pop pone.

      Questi ultimi giorni mi sono farcito “True Detective”: per questo non ho voluto commentare prima.
      Debbo dire che la storia è rapidamente avvincente, ben filmata, ben fotografata e, come avvisato da Minstrel, per adulti solo: questo è un punto però da sottolineare, in quanto considero che se un bambino non può vedere qualcosa neancheio dovrei vederlo.

      Onestamente, non ve ne spiacete, personalmente non ho visto nulla di cristiano nel film, ma l’esposizione della mediocritas umana a diversi gradi: in fin dei conti non c’è una grande differenza tra i due poliziotti alquanto poco virtuosi (puttanieri, infedeli, violenti, assassini, drogati e alcolizzati per citare alcuni loro vizi) e il serial killer altrettanto vizioso. Mi sembra che il questionamento sia filosofico ma non propriamente cristiano: cosa significa tutto ciò a livello delle “branes” che collidono e che rendono il tempo ciclico si chiede uno degli attori, fisica pop per porre domande di filosofia pop.

      C’è forse un solo punto che potrebbe richiamare qualcosa di cristiano: l’incontro, finalmente avvenuto, tra di due poliziotti.

      Vado di fretta: ne riparliamo, casomai.
      In Pace

      • Ciao Simon,

        se un bambino non può vedere qualcosa neancheio dovrei vederlo
        Perche’?

        Onestamente, non ve ne spiacete, personalmente non ho visto nulla di cristiano nel film, ma l’esposizione della mediocritas umana a diversi gradi: in fin dei conti non c’è una grande differenza tra i due poliziotti alquanto poco virtuosi (puttanieri, infedeli, violenti, assassini, drogati e alcolizzati per citare alcuni loro vizi) e il serial killer altrettanto vizioso’

        La differenza c’e’, ed e’ sostanziale e a mio avviso squisitamente cristiana; Marty Rust e il serial killer sono tutti e 3 persone umane e rali, non dei mostri ne degli eroi senza macchia e senza paura; sono persone fragili, segnate dalla vita, con tutti i limiti e anche le ‘scusanti’ del caso…ma i primi due compiono la scelta giusta, il terzo no; i primi due combattono o almeno cercano di combattere i loro demoni, di scoprire cosa e’ vero e giusto; il serial killer diventa egli stesso un ‘demone’.
        anche i richiami al tempo ciclico ‘pagano’ dei ‘cattivi” (e tutti i richiami all’eterno Ritorno, a schopenhauer, etc) rimandano secondo me una visione ‘tragica’ del mondo, che si oppone alla scoperta finale di Cohle; il tempo non e’ un circolo insensato(paganesimo), ma una lenta e costante progressione in cui ‘la luce sta vincendo’, anzi ha gia’ vinto una volta per tutte(cristianesimo); e alla fine della vita non c’e’ il buio, ma l’Amore che da un senso a tutta l’esistenza, in cui tutta quella ricerca di verita’ e di ‘pienezza di vita’ viene finalmente soddisfatta. Piu’ cristiano di cosi’!

        • se un bambino non può vedere qualcosa neancheio dovrei vederlo
          Perche’?
          : Beh perché anche il mio angelo vede Dio faccia a faccia…

          Quella differenza l’avevo registrata, ma è sufficiente per definirla “cristiana”? Voglio dire che c’è gente mediocre che cercano di combattere i propri demoni ma non per questo sono cristiani: possono essere stoicisti ad esempio.

          Eppoi rimane la questione di fondo: la luce la hanno trovata perché si sono salvati o oppure si sono salvati perché la luce li ha trovati?

          Come ho detto nel mio primo commento nel film non vedo davvero un incontro, se non quello finale tra Rust e Cohle: casomai vedrei qui un sentore “cristiano” anche se l’amicizia di “filìa” è qualcosa che un non cristiano è perfettamente capace di apprezzare.

          Non nego una certa somiglianza con il segno di Giona nel coma di Cohle ed una certa forma di redenzione personale, ma non riesco a vedervi la dimensione propriamente cristiana: per far piacere a Trinity, in un certo modo è come se Nemo si svegliasse al reale, ma alla rovescia che in Matrix.
          In Pace

          • Non saprei Simon, lo stoico combatte le sue passioni e raggiunge l’apatheia , Rust combatte la sua ‘ragione’ (sballata e nichilista quanto vuoi) anche grazie alle sue emozioni autentiche e umane e alla sua coscienza (cristianamente, e non scalfarianamente intesa 🙂 , che lo spingono a cercare la verita’, e a trovarla, anche e nonostante la gabbia mentale in cui si e’ rinchiuso.E non raggiunge l’apatheia; ridiventa pienamente umano (non mi sono mai piaciuti gli stoici by the way :).

            L’incontro non e’ solo tra i due, io credo che l’incontro vero e totale tra Rust e Marty sia reso possibile appunto dall’incontro fatto da Rust, l’incontro con quell’Amore totale e Assoluto che trova dove lui pensava ci fosse solo l’Oscurita’ (Oscurita’, prendimi…e invece c’era solo amore).
            E l’incontro con Dio-Amore che da finalmente senso alla vita di Rust, che gli rende possibile provare un vero pentimento, riconnettersi con i sentimenti che aveva ‘sepolto’ per non affrontarli, dare un senso anche ad una vita come la sua, che gli appariva come una sequela di degrado e squallore mentre si rende conto che pur con tutti i suoi errori, le sue cadute, lui in quella ‘storia piu’ antica del mondo; la battaglia tra la luce e le tenebre’ ha combattuto dalla parte giusta…

  9. Eppoi rimane la questione di fondo: la luce la hanno trovata perché si sono salvati o oppure si sono salvati perché la luce li ha trovati?

    Si sono salvati perche’ l’hanno cercata e trovata, e perche’ lei ha voluto farsi trovare da loro, apprezzandone lo sforzo. Se fai un passo verso Allah, lui ne fa due verso di te 🙂

  10. Allora a questo punto rilancio con Matrix 😉
    Mi risulta che si rifaccia alle teorie filosofiche di questo signore qua
    http://www.filosofico.net/baudrillard.htm
    anche se io non posso valutare quanto siano valide, ma qui l’esperto c’è, Claudio, giusto?
    Per quanto riguarda i richiami al cristianesimo:
    http://xoomer.virgilio.it/vcavoret/matrix/
    Bella la riflessione sull’angelo 🙂
    Da qualche giorno (anzi notte direi) vi sto leggendo nell’altra discussione, “ermeneutica delle tradizioni credenti …” e sto mandando google a mille per riuscire a starvi dietro….

  11. Complimenti per l’ articolo, bellissimo. Personalmente ho adorato la serie attraverso due personaggi, con una scrittura meravigliosa e infarcita di filosofia sembra uscire oltre che una storia ben raccontata, un immenso trattata su quella che può essere la vita. Unica delusione è appunto il cattivo, che appunto è ridotto al male becero, basico senza nulla aggiungere. Ma forse è perchè si può trovare una scusante nel puro male ? O è solo qualcosa di cui ci si vuole convincere come dice spesso Rust.
    Che serie, peccato solo che sia antologica. Di nuovo complimenti per l’ articolo

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