Progressismo fumoso

Progressismo

Progressismo

Ormai i vari Gnocchi, Palmaro, Siccardi, de Mattei  ed altri si sono chiaramente posizionati  « fuori »  dalla Chiesa, lungo una traiettoria di allontanamento spesso in consonanza con la scismatica FSSPX: il loro discorsi ed i loro fini sono ormai chiari per tutti i cattolici e, purtroppo, non ci rimane altro che seguire l’evangelico consiglio di N.S. G.C. di scuotere la polvere dei nostri calzari ed andare avanti senza più curarci di loro.

Ma se il tradi-protestantesimo anti-cattolico romano di queste persone ed organizzazioni è ormai chiaro nella mente di tutti, purtroppo la stessa constatazione di assenza di Sentire cum Ecclesia non è per niente così chiara quando si guarda all’altra sponda, quella dello speculare progressismo.

In fin dei conti, se da un lato abbiamo un fenomeno di pensare sclerotico,  dall’altro abbiamo quello di un pensare a-strutturato: nei due casi, il termine “pensare”  è usato qui in senso analogico, perché non è di “vero” pensare che si parla ma di semplici ripetizioni di slogans inquadrati nelle sottoculture rispettive: più un “ragliare” che un pensare costruito quindi.

Grazie al blog di P.Augé mi è stato dato di aver accesso a tal ragliare con un testo di Christian Albini pubblicato sul sito Viandanti che invito i lettori a leggere per ben capire i miei commenti.

La pretesa dell’autore è di ridare un nuovo significato al termine “relativismo”, in quanto secondo lui, “sequestrata dai settori più chiusi del cattolicesimo”.

Premetto che l’introduzione già non è chiara a chi la legge in quanto egli sostiene voler dimostrare che  non sia vero che credenti e non credenti  siano “necessariamente avversari “ , il che, a me,  sembra essere di una tal ovvietà  evangelica  al punto che  non vedo  in cosa la sua potenziale dimostrazione  possa avere un qualunque valore aggiunto nella storia del pensiero.

Comunque, la referenza ai settori più chiusi, giudizio apodittico per sé, mostra fin dall’inizio un discorso che sarà poco in relazione con il reale ma intriso di quell’ideologia invisa a Papa Francesco e dà il tono di tutto l’articolo.

Comincia il suo tentativo di “ripensare il relativismo”: in un primo tempo ci spiega attraverso l’intervento di  Zagrebelsky che si può essere “laico” senza essere relativista. Però, questa  non è un gran scoperta, il problema della “laicità” non essendo quello di essere relativista ma, al contrario, quello di essere assolutista, come la storia lo ha mostrato fin dai tempi della rivoluzione francese colla scia sanguinosa lasciata dai poteri laici durante tutto il ventesimo secolo e che continua ancora oggi.

Il bravo Albini, in un secondo paragrafo, si cimenta poi a cercare le radici delle divergenze: solo, c’è un piccolo problema, non ci ha spiegato quali fossero queste divergenze, tra chi e chi,  tra i credenti ed i non credenti, o tra relativisti e gli assolutisti, o tra i chiusi e gli aperti, o tra i nichilisti e gli “eticisti”, prima di voler cercarne le radici. Cerchiamo però, lo stesso,  di seguire  il suo pensiero anche se non definito nelle sue premesse esplicite.

Si chiede perché non ci sia sintonia tra chi ha differenti concezioni etiche differenti rispetto l’inizio e la fine della vita e vi risponde (non ridete) : “Bisogna avere l’accortezza di chiedersi se questa è una divergenza che nasce da una negazione della vita e della famiglia, o piuttosto da una differente concezione del bene”. Cioè  presso chi? Conosco laici che danno molta importanza alla famiglia e alla vita e infatti lo stesso Albini lo afferma poco dopo ricordando che il nichilismo è effettivamente compartito da pochissimi atei e non-cattolici. Ancora una volta non si vede quale sia l’oggetto di questo articolo, cosa esso voglia dimostrare, parlandoci adesso dei nichilisti (assimilati a chi?).

Viene poi con un giudizio apodittico, interessante, ma tutto da dimostrare, che i fondamentalisti sarebbero nichilisti in quanto dividono il mondo in due: questo c’entra con il discorso precedente come i cavoli alla merenda.

E chiude il paragrafo chiedendosi se sostenere posizioni sulla vita e famiglia altre che quella della Chiesa sia essere sostenitore di un male o se non fosse, semplicemente, una differente concezione di un bene o differente attuazione dello stesso bene.  Notate amici, che questa frase non è in relazione logico-dimostrativa con tutto quel che egli scrive precedentemente: è semplicemente una domanda. In fin dei conti, è la tesi che lui vorrebbe dimostrare, ma che ci presenta, indebitamente, “dimostrata” dal suo precedente sproloquio, in realtà non attinente neanche al soggetto.

Albini ci porta poi un paio di esempi, alla “moda”: il primo quello di “una relazione omosessuale caratterizzata da fedeltà e dedizione” che sarebbe un bene e di cui riconoscerne il bene non significherebbe negare il matrimonio.

Lo so, tale livello di impreparazione fa ridere, ma è il risultato dell’incultura e dell’assenza di pensiero costruito e razionale. In effetti, mai un atto cattivo o immorale non ha un attrattiva di bene per il soggetto che lo compie: avere un’amante in più della moglie è certamente un bene sotto un certo punto di vista, ed essere fedele e dedicato all’amante è cosa che potrebbe essere vista come buona, seguendo questo ragionamento e allora potremmo dire che avere amanti ai quali essere fedeli non significa negare il matrimonio.

Un’azione è immorale quando si sceglie un bene minore ad uno maggiore: ma sempre di beni si tratta. Infatti, se fedeltà e dedizioni sono un bene, un bene ancora più grande è vivere la propria sessualità secondo la propria natura umana che è sempre eterosessuale in quanto fine alla procreazione della specie: nel caso secondo natura fedeltà e dedizione aiutano alla realizzazione della propria natura, mentre nel caso contro la natura della specie le stesse fedeltà e dedizione avvinghiano sempre di più chi vi è sottomesso a schiavitù contro-natura. Nel primo caso fedeltà e dedizione è un processo di libertà nel pieno esercizio del propria natura, mentre nel secondo diventa un processo di schiavitù.

L’altro esempio dato è quello dell’eutanasia presentando il solito leit-motiv come essendo une bene e non capendo ancora una volta che l’immoralità di un atto non è nel fatto che si sceglie un male in sé ma nel fatto che si sceglie un bene scadente quando si deve sceglierne uno migliore: chi decide di ammazzare il vecchio padre per diminuire i costi e per rispetto della dignità umana, di certo non vuole fare un male in sé, ma di certo fa il male in quanto decide di far  passare un bene superiore, la vita ( e l’amore che la deve accompagnare e che spesso esige sacrificio) dopo un bene inferiore.

Non avendo dimostrato niente il Nostro chiude apoditticamente dicendoci che qui non siamo in un permissivismo senza freni e quindi non siamo relativisti e il problema etico va da essere risolto nell’incontro: in realtà, quel che egli ci dice è che chi non d’accordo con la Chiesa non è per forza un “immoralista”. Il che tutti già sapevamo.

E qui, ci cascano le braccia, il Sig Albini dovrebbe sapere che ci sono due forme di relativismo rispetto alle categorie da lui usate: quel relativismo che non accetta nessuna regola oggettiva ed il relativismo che non accetta che ci sia una gerarchia tra beni oggettivi. Dire  “non sono relativista, perché credo che ci siano valori”, ma la priorità tra i valori sono “io” che li decido , direi che è proprio la definizione stessa di relativismo!

Il Sig. Albini già dovrebbe studiare un po’ di etica e sapere che tra una posizione relativista ed una assolutista, tra una teleologica ed una deontologica c’è la posizione oggettivista che tiene conto della situazione reale e che va da essere considerata dalla ragion pratica e non da quella speculativa, alla luce del bene comune e dello sviluppo delle virtù di ciascuno.

Insomma, siamo in presenza del solito pensiero “progressista” informe, contraddittorio, di un discorso che si definisce nella propria autoreferenzialità dove la verbosità funge da surrogato alla logica e dove le preconcezioni rimpiazzano i fatti.

Purtroppo di questo si nutrono i nostri fratelli separati nel “progressismo” e questo li rende chiusi agli “altri” dietro un’invalicabile muraglia cinese di verbosità ideologica impaurita dalla realtà: abbiamo visto che questo modo di separazione è stato definito dallo stesso SIg Albini, “nichilismo”…

In Pace



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

20 replies

  1. Simon, tu fai benissimo a smontare il giocattolo e a far capire i vari meccanismi che lo compongono (quando il Nostro è apparso su VinoNuovo ho provveduto anch’io a fare altrettanto), ma è fatica quasi sprecata.
    Uno, perché una grossa fetta dei cristiani “in” segue naturaliter a ruota gli sragionamenti che tu critichi.
    Due, perché ciò che definisci “fumoso”, non lo è per difetto intrinseco (ci sarebbe ancora di che sperare),
    ma per scelta politico-editoriale: certo che è “fumoso”, ma perché fa “segnali di fumo”

  2. Salve.
    Su de Mattei posso anche essere d’accordo.
    Sulla Sig.ra Siccardi e sui Sig.ri Gnocchi e Palmaro non tanto. Al netto delle frequentazioni, se guardiamo solo ai contenuti, non è che siano tanto fuori. Sinceramente poi aggiungo che se solo aggiustassero di poco il tiro, quanto bene che potrebbero fare, di persone del genere la Chiesa ne avrebbe bisogno.
    Può sembrare strano che proprio io che tanto ho vibrato contro certo “tradi-protestantesimo” oggi mi esprima cosi. Coi tempi che corrono e con la piega che si è presa far di necessità virtù e cosa buona, e poi oltre tutto posso sempre invocare l’inclusivismo che pur tanto persegue il Papa (o vescovo di Roma, che dir si voglia).
    Mi faceva notare un amico sacerdote che ormai il pericolo “tradi-protestante” (perchè per certi versi di pericolo si è trattato) è stato allontanato; il movimento “tradizionale” ha sviluppato i necessari anticorpi contro certe derive passatiste, lefebvriste e sedevacantiste e anticonciliari. Resta però un fatto che è evidente e che è stato sollevato dal pontefice emerito: la correttta interpretazione e applicazione del Concilio Vaticano II.
    Ecco che allora -e qui preferisco non dilungarmi, qui potest capere capiat- io direi (ma in fondo è un amico che la sa lunga che mi ha detto…) che le energie bisogna riservarle al “nemico” che, paradossalmente, la fa da padrone nei seminari nelle parrocchie e addirittura nelle università pontificie. E per sconfiggere quel nemico l’esito della vittoria deve venire dall’alto, noi possiamo solo partecipare…
    Un cordiale saluto.

    • Caro Ubi,
      long time no see! Benvenuto.

      Faccio mie la seconda parte delle tue considerazioni: ormai il tradi-protestantesimo, anche se ancora un po’ rumoroso, per certi versi si è completamente e definitivamente squalificato e nessun cattolico un po’ formato e avente un minimo sentire cum Ecclesia può più lasciarsi ammaliare dalle sue sirene troppo stridenti con il reale: per questo, in questo mio post ho incominciato a disinteressarmi da loro, in quanto essi sono pericolosi solo per loro stessi.

      Il nemico vero e qui concordo con te, è certa forma di “progressismo” in quanto movimento psicologico (sì, psicologico, non filosofico) che rifiuta la Croce in quanto solo e unico strumento di Salvezza universale: rifiuto comprensibile in quanto, per definizione, la Croce è via stretta ed è scandalo per il mondo. Lo sappiamo da duemila anni.

      E’ un non-pensiero, come, spero, dimostrato con l’esempio qui sopra dell’articolo del Sig Albini, che pretende ridefinire la nozione di relativismo, dandocene una nuova, che in realtà è quella di sempre e da sempre condannata da Cristo stesso e dalla Chiesa.

      Ma è un non-pensiero che è di allineati alle idee mondani, che trova la Croce scandalosa, sono i “collaborazionisti” dei cattofobi e cristianofobi di “professione” e lo fanno usualmente tramite un discorso che non è espressione di pensiero ma di mera ripetizione verbosa, a volte sentimentale ed emozionale, raramente razionale.

      Non credo che il nostro ruolo sia di “sconfiggerli”: sono già sconfitti da Cristo Morto e Risuscitato. Il nostro ruolo è semplicemente di presentare, nel nostro piccolo piccolissimo, dove il loro non-pensiero zoppica affinché coloro tra di loro che sono “in buona fede” possano porsi delle domande: a quelli di cattiva fede, non credo che neanche lo Spirito Santo possa nulla.

      Penso che la soluzione proposta da Papa Francesco sia la buona: mandare tutti a fare apostolato concreto nelle “periferie” sociali ed esistenziali: lì dovranno abbandonare il loro “discorsi” e entrare nell’ “azione” concreta del dono di loro stessi agli altri, in verità e non in parole. In quelle periferie muore quel progressismo.

      A presto!
      In Pace

      • Grazie per il benvenuto. Effettivamente era molto che non ci si “incrociava” (sembra un gioco di parole incrociarsi su un blog di nome “crocevia” 🙂 ).
        Detto questo e lasciando da parte i convenevoli passerei al dunque facendo una, almeno per me, necessaria, premessa: non ho interesse a ricercare la controversia nè il consenso, mi piace solo esprimermi in libertà.

        Che quello di Albini sia un “non-pensiero di allineati alle idee mondani” mi trova pienamente d’accordo.
        Quello che vorrei aggiungere è che però non tutti hanno gli strumenti (formazione) culturale o catechetica per capirlo. Purtroppo citando e parafrasando Pasolini, quello è un “pensiero che cala dall’alto”, spesso dei pulpiti o di qualche incarico altisonante, quindi non tutti sono capaci di badare a ciò che è detto ma si bada a chi lo dice.
        Ecco, io distinguerei dall’atto di fede nei confronti della Chiesa e della parola che ci offre dall’atto di fede puro nell’uomo, e questo ce lo dice stesso la Scrittura, guai a confidare nella carne.
        Vorrei fare un esempio che riguarda il Sommo Pontefice Francesco, a cui pongo il mio massimo e filiale rispetto ed obbedienza, e quindi non temo (e vivamente spero…) d’esser frainteso. La fede nelle parole di Cristo che la stessa Chiesa di cui il Papa è il Capo visibile ci offre, ad esempio mi permettono di assolutamente non dubitare del Santo Padre e della sua ortodossia (e ci mancherebbe pure questa poi…).
        Ma in fondo certi dubitano davvero del Santo Padre, o il dubbio è solo sulla opportunità di certe espressioni? Cioè si contesta la forma o il contenuto?
        Ad esempio, una persona che non ha la necessaria preparazione culturale e catechetica, può scambiare le parole del Papa dette a Scalfari sulla coscienza, per quelle che non sono o farle dire ciò che non dicono. E fin qui.
        Il problema è quando settori che fanno parte della chiesa (almeno dal punto di vista formale…) vogliono davvero far dire al Papa quello che non dice, proprio usando le sue parole, e dimenticando quelle della Chiesa di cui stesso Papa Francesco si dichiara figlio.
        Questo per dire che non liquiderei cosi semplicemente quello che è il “non-pensiero” progressista, poichè è vero che esso è tale ma è pur vero che esso è anche molto strutturato ed invasivo e dove non riesce ad avere quella profondità filosofica che giustamente è limitata per un pensiero che è di per se relativista e quindi alla fine fautore di insanabili contraddizioni, sfrutta il fattore psicologico (ennesima citazione) tipico del “medium di massa” calando il suo pensiero dall’alto e facendolo oltre tutto con termini altisonanti che fanno maggiormente presa sui meno dotati, pur se privi di ogni qual si voglia contenuto.
        Ecco allora che torniamo alla considerazione, come già correttamente facevo notare, sul fatto che c’è da combattere una buona battaglia e che non appartiene a noi nè la battaglia nè la vittoria. Mi appartengono però i “motivi” della buona battaglia. Partecipare, militare, è un imperativo per un cristiano fino a quando è su questa terra.
        Cordiali salutia tutti.
        Ricambio con la medesima cordialità e ringraziando per il benvenuto, l’amico Lycopodium, che mi consentirà ribadirgli che quel che più mi preme e felicita non sono “i tanti grandi consensi e qualche minimo dissenso”, ma l’esserci sempre rispettati, pur a dispetto di lievi diversità di vedute, in virtù della comune militanza nella medesima fede in Cristo e l’essere uomini di “buona volontà” con il comune anelito alla pace.

        • Mi sia consentita una ultima osservazione che ritengo utile rispetto al tema del post e che credo ponga un interrogativo interessante, riguardante due “fatti” avvenuti.

          Il primo: il Prefetto per la Dottrina della Fede S. E. Gerhard Ludwig Müller pubblica su “L’Osservatore Romano” l’articolo “Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e sui sacramenti” che è una vera e propria “perla” teologica.

          Il secondo: “Il prefetto della congregazione della Dottrina della fede, monsignor Ludwig Gerhard Mueller, denuncia la “furia della critica al sacerdozio ministeriale” che, anche in ambito cattolico, ha avuto, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, una matrice protestante, e difende il celibato sacerdotale, contestando l’idea che si tratti di un “relitto di un passato ostile alla corporeità” o della “unica causa della penuria di sacerdoti”.”
          Questo lo apprendo tramite Vatican Insider.

          Ora mi e vi chiedo: è in atto una “controffensiva” da parte del Prefetto per la Dottrina della Fede (che ricordiamolo, è stato messo là dal Papa Emerito…)?
          O è in atto un continuo “chiarire” su certi temi precedentemente affrontati dal Papa?

          Certo se sia o l’una o l’altra spaventa, e il fatto è che molti se lo chiedono…

          • Bisogna evitare di cercare spiegazioni circa cose che non sono misurabili o controllabili e limitarci ai fatti.
            Riprendo qui i tuoi ultimi due commenti in una sola risposta.
            Quando si parla si è sempre fraintesi, anche quando sei il Logos che parla ai Sommi Sacerdoti un certo Giovedì sera.
            Per capire cosa dice il Santo Padre bisogna assumere che parli usando dei concetti propri alla Chiesa cattolica, salvo espressamente annunciato il contrario: cioè un’interpretazione di Scalfari ( o di altri Pamaro) che non tenga conto della dottrina della Chiesa per illustrare le parole del Santo Padre è già un’impostura, per definizione.

            Se Mueller ha parlato, lo ha fatto in quanto Capo dell’ex- Sant’Uffizio, appena ricondotto definitivamente nella sua funzione dal Santo Padre , quindi quel che vi dice, salvo espressamente annunciato il contrario, lo ha detto in unione con il Vicario di Cristo: pergiunta è un risposta agli avvenimenti di Friburgo e non alle interviste del Santo Padre, anche se quel che vi è detto rimette i pendolini all’ora esatta a chi ha voluto trasformare le parole di Papa Francesco traendole fuori dal solo contesto nel quale sono legittimamente leggibili, quello della Chiesa cattolica.

            Il Papa Emerito prega ed obbedisce al Vicario di Cristo, come si deve.
            In Pace

        • Ottimo ribadire, Ubi!

          • Simon “pergiunta è un risposta agli avvenimenti di Friburgo e non alle interviste del Santo Padre”,
            Scusami ma allora è l’altra cioè “il chiarimento”.
            E’ tautologico, pur se mai nessuno lo ammetterà formalmente, che “gli avvenimenti di Friburgo” sono la risposta immediata della cattiva interpretazione delle parole del Santo Padre…
            Ribadisco il mio massimo e filiale rispetto cosi come l’ obbedienza al Santo Padre. Ciò non toglie che spesso si possano avere dei piccoli dubbi sul modo di procedere.
            I richi connessi infatti sono questi accadimenti e anche, come faceva notare Lycopodium, la mancanza di pronunciamenti magisteriali e il chiaro dipanarsi di della matassa del magistero ordinario.
            Tutto resta indefinito e in divenire. Solo che più passa il tempo e più il “fumo” invade i locali.
            Parafrasando il beato Giovanni XXIII, c’è bisogno di aprire le finestre per entrare l’aria nuova che può portare solo una fresca brezza di pura dottrina. C’è troppa polvere pseudo-conciliare accumulata sui tomi che trattano di Liturgia e Teologia…

          • La sola cosa che desidero ribadire è che quando ascolto qualcuno cerco sempre di interpretare quel che dice nel contesto di chi sia , da dove venga, etc.: questo è il minimo dell’empatia che debbo avere in quanto ascoltatore.
            Se mi parlasse il Dalai Lama non mi verrebbe in mente che le nozioni di pace, di coscienza e di deità da lui utilizzate siano quelle mie e farei lo sforzo di conoscerle per capire bene quel che lui mi dice prima di rispiegarlo ad altri.

            Similmente, se il Santo Padre mi parla quel che lui dice va da essere interpretato a priori nel quadro della dottrina cattolica: se mi parla di supremazia della coscienza è ovvio che si riferisce alla ricchissima multi-millenniale dottrina al soggetto riscontrabile anche nel CCC. Voler fargli dire quel che non ha detto, sia che tu sia un giornalista ateo o un estremista tradi-protestante, è solo il problema di questi ultimi e non quello del Santo Padre.

            Sul problema della misericordia rispetto ai risposati, il Santo Padre non ha detto nulla di particolare senonché bisogna riflettere: il problema qui è pastorale e non dottrinale e ci saranno almeno due sinodi ( uno in 2014 e un’altro in 2015) per trattare del soggetto, L’interpretazione fattane dalla diocesi di Friburgo è il loro problema: non ascoltano quel che ha detto Papa Francesco, ma quel che vorrebbero avesse detto, come Scalfari.

            Bisogna attenersi al reale ed evitare slittate e di farci impressionare dai mestatori professionali.
            In Pace

    • Benvenuto a Ubi, amico blogghistico di tanti grandi consensi e qualche minimo dissenso.

    • Simon, il tuo è un refuso oppure una dotta citazione di Slavoj Zizek & John Milbank?

  3. Fratelli carissimi, permettetemi di invitarvi a seguire questa trasmissione domani su rai 2: http://www.chiaracorbellapetrillo.it/2013/10/25/2-novembre-ore-10-10-sulla-via-di-damasco-rai2/. Qui non c’è nulla di fumoso o di tossico, qui c’è la luce bellissima di Cristo! Ho avuto la grazia di conoscere e di percorrere un po’ di strada insieme a questa meravigliosa fanciulla di nome Chiara e posso dunque testimoniare che tutto il bene sentirete di lei corrisponde a verità. È o non è il Regno dei Cieli la nostra meta ? Chiara su questo non aveva il minimo dubbio. Buona visione!

    • Grazie Rosanna,
      ho anche avuto l’opportunità di incontrare i genitori di Chiara a Ginevra un paio id anni fa e questi giorni sono a Friburgo.
      Vero cammino di freschezza e dono incondizionato a Dio: esempio da seguire di santità per tutti e per i nostri giovani, in particolare.
      Tra l’altro, in relazione al post qui sopra, Chiara è il vivido esempio che ci sono beni superiori ad altri, in particolare che la Volontà di Dio sia fatta e che Questa dobbiamo scegliere.
      In Pace

  4. La scelta del nuovo corso ecclesiale sembra essere quella di limitare gli atti ufficiali a rarissimi pronunciamenti magisteriali e a più frequenti atti di governance e di disciplina.
    La forma di magistero scelta è quella dell’ “informale formalizzato” (soprattutto interviste e omelie, da cui si traggono slogan, idee e motivi, a volte autentici a volte equivocati, ma tutto fa brodo…).
    Se sia una scelta programmata a priori oppure un fare di necessità virtù considerato lo stile “immediato” del papa attuale, non saprei.
    Certo il problema non è il papa, ma l’apparato “incaricato” (o che “se ne fa carico”, magari in modo del tutto informale, fino ai casi di sedicente incarico).
    Il problema è come si va configurando la mediazione dell’immediatezza papale.
    Problema non da poco, che si inserisce nel processo di evoluzione del cattolicesimo attuale, in senso più mediatico ed emotivo, anzi emotivista.
    Peraltro, anche nell’ipotesi di una ricaduta positiva della attrattività papale, resta il fatto che una certa ricezione superficiale e banalizzante rischia, come avete entrambi evidenziato, di intaccare non tanto l’appartenenza, ma l’identità stessa e la struttura teorico-pratica della forma cattolica.

    • I nuovi mass-media ed in particolare l’immediatezza dell’accesso all’informazione sono uno strumento meraviglioso ma che la Chiesa ( in quanto organizzazione) sta ancora imparando ad utilizzare.
      Il punto positivo è che di tutte le organizzazioni globali la Chiesa è probabilmente quella che è il più in avanzo nel loro uso. Il punto negativo è che non se ne misurano tutte le conseguenze.

      Mi ricordo che un paio di anni fan era questione di produrre un documento per i sacerdoti alfn di aiutarli ed ispirarli a fare prediche migliori: approccio alquanto “classico” per risolvere un problema ricorrente da venti secoli che è quello della scadenza delle omelie, di cui nessuno si ricorda all’uscita della messa.

      Da qualche mese, i sacerdoti ascoltano/leggono le omelie di Santa Marta e molti se ne ispirano per le loro proprie che, di colpo, diventano più pregnanti: l’obiettivo primo è stato raggiunto, i bravi sacerdoti non troppo ispirati trovano così una fonte di ispirazione sicura. Ma questo vuol dire un’appiattimento del ruolo “informazionale” che cortocircuita il vescovo locale, il cui usuale silenzio diventa così neanche rammaricato

      La Chiesa sta diventando davvero globale, l’informazione è meno monitorata, facilmente distribuita e il ruolo di rappresentante della Chiesa concentrato sul ruolo del Santo Padre: cosa implica ciò? resta tutto da scoprire. I ruoli dei vescovi si limitano sempre di più a quello di gestore dei problemi locali da un lato e di figura che stabilisce legami interpersonali da un altro. Ma fine del controllo dell’informazione. Qualche significato teologico bisognerà pure trovarlo in quest’evoluzione, come anche la funzione di Pietro , limitata per venti secoli per cause tecnologiche, alla difesa di concetti contemplati dalla ragion speculativa ormai dovente pronunciarsi su realtà oggetto proprie della ragion pratica, tipicamente tradizionalmente luogo di azione dei sacerdoti e dei vescovi.

      Sono interessatissimo da come le cose evolveranno, senonché penso che le persecuzioni anti-cristiane prenderanno un accento molto più virulento in Europa nei prossimi anni e, forse, non ci lasceranno il tempo di gustare appieno queste evoluzioni tecnologiche. 😉
      In Pace

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