Ermeneutica della continuità: un altro punto di vista

Un altra mano per il puzzle.

Un altra mano per il puzzle.

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri un articolo di Giuseppe gibici dedicato all’ermeneutica della continuità, che tratta anche della possibile fallibilità delle Encicliche Papali; fallibilità che personalmente non escludo, ma non nei termini indicati da Giuseppe stesso. Se ne parlerà nei commenti, ovviamente.

Grazie Giuseppe!
_____________________________________

1.        L’ermeneutica della continuita’

Vorrei comunicare alcune riflessioni che spero possano essere utili per la discussione sull’ermeneutica della continuita’ raccomandata da Benedetto XVI a proposito dell’interpretazione dei documenti del Vaticano II, e contrapposta all’ermeneutica della rottura.
L’ermeneutica riguarda i principi che devono essere applicati nell’interpretazione, e di essa si puo’ parlare nel contesto teorico di una teoria dell’interpretazione o in contesti meno tecnici come quello in cui si esprimeva il papa, che non voleva certamente delineare una teoria ermeneutica, ma contrastare tendenze interpretative “di rottura” fatte dentro e fuori della Chiesa.
E’ chiaro che nell’interpretazione dei testi da un punto di vista teorico non puo’ esserci che un’unica ermeneutica corretta, cio’ quella che giunge a stabilire cio’ che e’ stato espresso nel testo al termine di un percorso interpretativo e non prima di esso. Infatti, non si puo’ stabilire a priori se il testo interpretato sara’ o no in continuita’ con il senso di precedenti testi sullo stesso argomento.
Ma il papa non voleva evidentemente dichiare illegittimo il lavoro di interpreti onesti e coscienziosi, lavoro di cui non parla, quanto invece ricordare cio’ che ogni cattolico dovrebbe sapere e cioe’ che  i vescovi del Vaticano II non volevano certo contraddire la tradizione della Chiesa e che gli ampi dibattiti prima di ogni approvazione dei testi miravano ad assicurare la continuita’ con quella tradizione, oltre che a chiarire gli argomenti e a spiegare i testi proposti. Quindi i testi vanno affrontati ricercando in primo luogo in che senso le novita’ portate dal concilio siano sostanzialmente in continuita’ con le dottrine precedenti.
La seconda osservazione riguarda la precisazione di cio’ che deve essere in continuita’, essendo chiaro che discontinuita’ ce ne sono. E’ cio’ che ho indicato con “sostanzialmente”, che deve far da limite alla continuita’. Anche il papa accenna ad un limite, rifacendosi ad una distinzione classica del linguaggio ecclesiastico ufficiale, quella tra principi ed applicazioni concrete, i primi immutabili, le seconde contingenti e percio’ non suscettibili di definizioni immutabili. Ma questa distinzione mi sembra improponibile e di fatto non e’ stata utilizzata con rigore dal papa, che ha preferito indicarla e poi abbandonarla. La sua improponibilita’ deriva da due carenze, una di carattere epistemologico, perche’ non e’ vero che noi procediamo nella conoscenza e nella valutazione della realta’ attraverso deduzioni da principi quindi la loro enunciazione astratta  non sarebbe di grande aiuto in funzione dei casi concreti, come invece si riteneva. L’altra carenza e’ di carattere fattuale, perche’ se noi escludessimo le materie “contingenti” metteremmo a rischio tutte le principali dottrine della Chiesa, a iniziare dall’esistenza di Gesu’ , degli apostoli e dei discepoli, della salvezza da lui portata, della fondazione della Chiesa per opera sua, ecc. In tutti questi casi infatti si ha a che fare con fatti contingenti e non con principi teorici, ma se non fosse possibile parlare infallibilmente su questi fatti, non ci sarebbe.
In che cosa e’ percio’ da cercare la continuita’? Nella continuita’ con la tradizione, continuita’ che non esclude sviluppi ed approfondimenti nei secoli.

Tradizione e tradizioni

Il punto principale sul quale verte la polemica cd “tradizionalista” e’ proprio la mancanza di continuita’ di alcune innovazioni del concilio con la tradizione precedente il Vaticano II.
L’errore di questa polemica e’ che non si tiene presente quanto delle tradizioni vigenti nel periodo preconciliare fossero in accordo con l’autentica tradizione evangelica. In questa polemica si da’ infatti per scontato che l’accordo con la tradizione autentica sia garantito automaticamente quando qualcosa sia proposto o accettato da parte dell’autorita’ ecclesiastica, cioe’ di qualche papa o anche dell’episcopato. Il secondo presupposto che si da’ per scontato e’ che in questi campi le espressioni dell’autorita’ ecclesiastica siano infallibili.
Si dimentica pero’ che papa, vescovi, concili possono essere considerati infallibili solo quando le loro dichiarazioni sottostanno ad alcuni canoni formali, ma anche ad una condizione sostanziale ineludibile, quella della conformita’ al messaggio evangelico. Quindi bisogna che sia accertato il legame tra le spiegazioni dell’autorita’ ecclesiastica e la Tradizione evangelica, non basta che questo legame sia stato ritenuto esistente dall’autorita’ che ha emanato un qualche documento.
Di fatto considerando la storia della Chiesa si vede che la tradizione evangelica e’ stata sempre incorporata e tramandata all’interno di tradizioni culturali locali, e che talora queste ultime hanno oscurato almeno in parte il messaggio evangelico, come quelle legate al paternalismo, a concezioni sociali classiste, feudali, addirittura allo schiavismo, ecc. In sintesi accanto al nucleo della Tradizione evangelica e dei suoi autentici sviluppi, si sono sempre anche sviluppate tradizioni con altre origini culturali, spesso non compatibili con il vangelo. Come gli individui hanno un continuo bisogno di conversione, cosi’ la Chiesa “semper reformanda est”.
Bisogna percio’ distinguere cio’ che e’ in accordo con l’autentica Tradizione ecclesiale, da cio’ che e’ tradizione ecclesiale non autenticamente evangelica, nei confronti della quale la rottura e’ doverosa. Per non restare nella pura teoria, mi sembra che si possa tranquillamente dire che un caso di rottura simile e’ avvenuto con il documento “Dignitatis humanae”, che ha accolto il principio della liberta’ di coscienza e di espressione, cambiando gli indirizzi dati dai papi, dall’ottocento fino a quel momento. Non mi sembra che in questo caso possano avere fortuna i tentativi di negare la novita’ del Vaticano II per affermare invece la continuita’di quel  concilio con gli insegnamenti dei 130 anni precedenti.
Un aspetto molto delicato nel richiamo all’autentica Tradizione evangelica riguarda la determinazione di chi debba dare il giudizio di autenticita’. C’e’ infatti nel campo cattolico un riflesso condizionato di fiducia nei confronti del papato: e’ il papa, eventualmente con la collaborazione dei vescovi, a dover prendere una decisione valida per tutti. Quindi si aspetti la sua decisione e vi si adegui. Questo riflesso condizionato pero’ e’ figlio di una semplificazione teologica dei compiti e della figura del papato e rischia di portare alla papolatria, per l’attribuzione al papa di poteri di origine soprannaturale che non gli competono.  Si puo’ sbagliare per eccesso o per difetto.
Nella Chiesa ci sono varie competenze e ritengo che esse non possano essere adeguatamente utilizzate e salvaguardate senza il ricorso al principio di sussidiarieta’. E’ vero che questa opinione e’ finora in minoranza, ma non ne ce n’e’ finora un’altra concorrente.
In breve, il papa e’ l’ultima risorsa, proprio perche’ e’ la suprema ed entra in funzione quando le risorse dei livelli inferiori non possono rispondere piu’ in modo adeguato. Non ha percio’ senso tarpare prematuramente le ali, ad esempio, della ricerca teologica, in primo luogo di carattere esegetico e storico, ma anche di carattere sistematico. Cosi’ come non ha senso il non far precedere ad un intervento papale la discussione ed elaborazione al livello locale, della quale hanno dato un ottimo esempio le chiese degli USA qualche anno fa’, prima di essere fermate da Roma.

2.        La pretesa infallibilita’ delle encicliche

Una questione collegata a quella della tradizione e’ quella dello stato teologico dei documenti pontifici in particolare delle encicliche, ma anche antiche bolle (la forma dei documenti pontifici che ha preceduto le encicliche).
Come abbiamo detto nella nota precedente la Tradizione e’ individuata dai tradizionalisti con il semplice rinvio ad un documento autoritativo del papa, documento che si considera spesso come infallibile e pertanto per definizione come esplicitazione della fede apostolica, quindi della vera tradizione. Non importa che il legame con il messaggio evangelico non sia evidente o che si tratti di encicliche che per lo piu’ non vengano considerate documenti formalmente infallibili.
Si ricordi che Newman, oppositore del dogma dell’infallibilita’ pontificia prima della sua promulgazione, che tuttavia accetto’, si consolo’ con l’osservazione che per lo meno la dichiarazione d’infallibilita’ non poteva applicarsi alla “Quanta cura” e al Sillabo allegato.
Come ha osservato H.Kueng nel famoso opuscolo “Infallibile?” Paolo VI era stato probabilmente mosso a contraddire le conclusioni della commissione teologica da lui nominata sulla contraccezione dal fatto che le precedenti prese di posizione dei suoi predecessori e con loro della gerarchia cattolica erano state contrarie, cosi’ che l’argomento potesse ormai ritenersi definito irrevocabilmente. Lo stesso ragionamento sembra essere stato alla base del documento di Giovanni Paolo II sull’ordinazione delle donne.Infatti, c’e’ stato un allargamento dell’applicazione dell’infallibilita’ al di la’ dei casi limitatissimi previsti dal Vaticano I per il magistero straordinario, per includere, sembrerebbe senza limiti, il magistero ordinario. Cio’ di cui non si discute e’ la limitazione contenutistica che, come abbiamo detto e’ applicabile a qualsiasi attribuzione d’infallibilita’, cioe’ che la dichiarazione sia ricollegabile alla verita’ rivelata, cioe’ della vera Tradizione ecclesiale risalente a Cristo.
Nello specifico, ho l’impressione che una normale enciclica non possieda i requisiti formali per essere considerata infallibile e che molte delle encicliche degli ultimi cento e cinquanta anni non possedessero il requisito sostanziale della conformita’ alla Tradizione evangelica nel modo nel quale affrontavano i problemi del loro tempo, spesso inadeguato dal punto di vista filosofico o teologico.

Giuseppe Gibici



Categories: Ermeneutica della continuità

Tags: , , , , , , , , , , , , , ,

12 replies

  1. “Paolo VI era stato probabilmente mosso a contraddire le conclusioni della commissione teologica da lui nominata sulla contraccezione dal fatto che le precedenti prese di posizione dei suoi predecessori e con loro della gerarchia cattolica erano state contrarie, cosi’ che l’argomento potesse ormai ritenersi definito irrevocabilmente. Lo stesso ragionamento sembra essere stato alla base del documento di Giovanni Paolo II sull’ordinazione delle donne”. In questa considerazione che pretenderebbe confutare l’argomento dell’infallibilità di certi contenuti presenti nelle encicliche c’è in realtà la risposta che liquida il problema. Un insegnamento del magistero ordinario non è infallibile in sè, ma diventa infallibile se costantemente e ovunque insegnato dalla Chiesa con un “universale e costante consenso” (Tuas libenter). Ora, si opina nell’articolo gli argomenti qui riportati rientrano in questi casi e quindi la discussione sembrebbe chiusa. Ma non è chiusa perchè si insinua che un papa potrebbe trasformare in Tradizione una tradizione ecclesiale in realtà determinata dal contesto storico e sganciata quindi, anzi addiirttura in contrasto, con la Rivelazione, condizionato dalle decisioni dei papi precedenti, finendo così per alimentare un circuito chiuso e vizioso da cui sarebbe impossibile uscire. Così facendo il magistero insegnerebbe l’errore. A questo punto mi chiedo se non sia questa una visione sociologica della Chiesa o addirittura ideologica poichè si pretende che una categoria al suo interno possa vedere meglio non solo di un papa, ma di molti papi e del loro magistero insegnato senza soluzioni di continuità. Se fosse vero l’insegnamento della Chiesa verrebbe spacciato per infallibile in quanto definitivo (contraccezione e impedimento all’ordinazione femminili) e quindi si impegnerebbe lo Spirito Santo ingannando i fedeli. Io credo invece che il fatto che l’uomo Montini fosse favorevole alla pillola e che gran parte dei teologi pure lo fosse, siano una dimostrazione della santità della Chiesa e del non praevalebunt cui l’ufficio petrino è messoa presidio. E qui, ripeto il giudizio dipende da due concezioni opposte di Chiesa quella sociologica considera i condizionamenti umani determinanti anche nell’insegnamento giudicato infallibile; quella invece che ritiene lo Spirito Santo che garantisca sul magistero fa sì che in determinata condizioni il condizionamento umano che ci sia o non ci sia è nullo davanti alla garanzia dello Spirito Santo.

    • Risposta a Pietro Mainardi.

      Noto con piacere che interviene sul blog un altro Giuseppe, che saluto.

      Quanto alla questione di Pietro Mainardi, la risposta in se’ e’ semplicissima: la Chiesa e’ una realta’ mista umano-divina, ma a differenza di quello che capita nell’umano-divino di Gesu’, l’umanita’ della Chiesa fino alla fine dei tempi portera’ il suo fardello di errore e di peccato. In concreto questo e’ il significato dell’ “Ecclesia semper reformanda est”. Una vera considerazione teologica della Chiesa deve percio’ essere anche sociologica.
      Si diceva che non e’ la Chiesa a peccare o a errare, ma non e’ vero. Lo dimostrano non solo le richieste di perdono di Giovanni Paolo II a nome della Chiesa, ma anche una piu’ completa riflessione contemporanea sulla responsabilita’ che abbiamo come singoli di cio’ che facciamo e sulla corresponsabilita’ che abbiamo come membri di una comunita’ per cio’ che fa quest’ultima.
      Non e’ vero che stabilire i limiti dell’infallibilita (ad es. restringerla a fede e morale, in quanto – ho aggiunto – dipendenti dalla rivelazione) sia abolire l’infallibilita’: e’ solo quello che ha fatto il Vaticano I e in modo meno puntuale il Vaticano II. La mia molto sintetica dicitura “dipendenti dalla rivelazione” e’ diversa da quella citata da Pietro Mainardi “universale e costante consenso”, che richiamava il principio di Vincenzo di Lerin, perche’ essa risale a quando non era stato compreso il fatto dell’evoluzione del dogma. Essa escluderebbe dal “definibile infallibilmente” quasi tutto.

      Piu sotto Simon, che saluto, dice che sono i documenti stessi che stabiliscono il proprio livello di autorita’. Per questo avevo espresso una clausola di salvaguardia, perche’ nulla vieterebbe che un dogma venisse proclamato infallibilmente con un’enciclica. Il problema nasce dalle encicliche che abbiamo nessuna delle quali si autoproclama infallibile. E aggiungo, “in cauda venenum”, alcune sono veramente superate.

      • L’infallibilità non può non avere limiti poiché il Papa non è mai un oltreuomo, un superuomo. Questo è un punto fisso di logica. Dunque chi stabilisce tali limiti? Chi ha l’autorità. Cioè il Magistero. E sono stati decisi “restringendo” i limiti a “fede e morale”.
        Ora il problema, come già sollevai a Marco Marchesini tempo fa è: questi limiti sono fissi? Cioè quello che oggi è considerabile di fede, non può divenire con il tempo materia scientifica? E se si, non ci si rende conto dunque che il magistero si sarebbe pronunciato su aspetti che esulano dall’infallibilità?
        Esempio?
        Il monogenismo.
        Ora come ora è improvabile scientificamente sia il poligenismo che il monogenismo, ma la materia è di fede oppure rientra a tratti nella scienza? E solo a tratti?

  2. Ringrazio Giuseppe (gibici) per l’intervento: tanta è la carne portata al fuoco!
    Come pure l’intervento di Piero Mainardi.
    Cercando di vederci chiaro e analizzando i due interventi mi sembrano intrecciati problematiche varie: cosa “faccia” che un’insegnamento sia infallibile o no, il suo emergere, la sua situazione giuridica, la sua ricezione dai fedeli, la sua relazione con gli insegnamenti passati eppoi con quelli futuri.
    Ci sono quindi problematiche diacroniche e altre sincroniche.
    Chiaramente la soluzione proposta da S.S. Benedetto XVI nel 2005 ha un’indicibile sapore tomistico: ci dice che nel Magistero v’è una sostanza che non potrà mai cambiare e nella quale si esprime la Sua continuità e vi sono accidenti che essi possono evolvere e eventualmente riformati. Ovviamente, nel caso del Magistero, gli accidenti sono lì per facilitare l’accesso alla Sostanza, non per nasconderne il Mistero e, quindi, è molto importante dare valenza alla cultura e al periodo storico.
    Vi è poi tutta la questione di infallibilità e di in-“errabilità”, che non sono la stessa cosa, da cosa dipendono o, piuttosto, da dove e come scaturiscono, come anche le questioni legate alla relazione tra il Magistero e la Chiesa tutta.
    In fine dei conti, la Chiesa , questa Persona “composita” ha un’Anima, un’Anima increata, lo Spirito Santo stesso che la rende Santa e perciò infallibile nel Suo essere unita al Cristo, la Verità.
    E la Chiesa, per usare un’espressione del Cardinale Journet, passa per i cuori degli uomini….
    …. uomini peccatori membri attuali (cioè in atto, realmente e non idealmente parte) di una Chiesa sempre Santa e stabile nel Vero.
    Senza contemplare con amore di agapé la Chiesa non mi sembra sia possibile rispondere capirLa.
    Forse la prima tappa di questa contemplazione consiste nell’ascoltare cosa la Chiesa Stessa dice di Sé e, in particolare, durante il Concilio Vaticano II, che, non esito a dire, fu il Concilio dell’Ecclesiologia per antonomasia.
    In Pace

  3. Basta leggere l’Humanae Vitae per capire che gli insegnamenti in tema di procreazione hanno un fondamento antropologico nella Rivelazione divina e perciò sono irreformabili. Non occorre escogitare spiegazioni storiciste. Per questo sono stati e sono sempre ribaditi dal Magistero autentico, che è in sé veritativo, anche contro l’opinione che storicamente può vedere schierate o dubbiose per l’errore larghe fasce del clero. L’Enciclica in parola ne è la dimostrazione patente.
    Un’altra prova è data dal fatto che la “ribellione” a questa dottrina ha – questa volta sì, storicamente – dissestato per molti tutto l’impianto della teologia morale, a dimostrazione che dall’errore nasce errore.

    • Caro Giuseppe,
      non ho dubbi alcuni sulla definitività della dottrina esposta in Humanae Vitae.
      Anzi, secondo me, c’è una relazione diretta tra la non ricezione di questo insegnamento in gran parte della laicità dell’epoca e di molti vescovi e la scadenza della liturgia ed i problemi post-conciliari come la diminuzione delle vocazioni etc. In un altro post ho parlato anche di dimensione profetica in un insegnamento per vagliarne la portata.

      Se una critica dovesse essere portata al Papa Francesco è la sua presente assenza di incisività sull’insegnamento di Humanae Vitae : concordo con lui che serve poco parlare sempre e solo di aborti e altre eutanasie. Ma di sicuro bisogna ricordare che noi cristiani e cattolici dobbiamo essere promotori della vita, capaci in suo nome di prendere il “rischio” di avere famiglie numerose. Aspetto molto dal prossimo Sinodo e aspetto non solo una pastorale rispetto ai divorziati risposati, ma soprattutto un ricordo del dovere di vita delle coppie cattoliche

      Enciclica significa solamente “circolare”: l’importanza di una circolare è definita da chi la legifera. Non è il fatto di essere enciclica che la rende infallibile. Ma se tratta di fede e di costumi allora di certo non ci può indurre in errore.
      In Pace

      • A questo punto una tua riflessione su Friburgo è quasi obbligo… naturalmente compatibilmente con i casini che entrambi abbiamo questa settimana 🙂

  4. Non userei la questione delle scuse portate da Giovanni Paolo II poichè fu un atto simbolico e giubilare. Assai generico sul piano storico e teologico e rpivo di valenza scientifica, da collocarsi su un piano completamente diverso rispetto al tema inq eustione che si colloca su atti di magistero vero e proprio di cui cerchiamo di considerarne pienamente il livello e l’autorevolezza su cui si collocano.
    E non userei neppure la questione della riflessione sulle colpe e la corresponsabilità di tutti i membri della Chiesa, riflessione che credo abbia radici teologiche ben più antiche poichè si tratta del rovesciamento in negativo di quella che è in positivo la comunione dei santi, rispetto ai meriti di Cristo e di chi lo ha seguito, che circolano nel corpo della Chiesa come vasi comunicanti.
    Poi è improprio parlare di evoluzione del dogma, poichè del dogma si da sviluppo organico, cioè in profondità. In questo senso il dogma viene penetrato meglio ma senza nadare in contraddizione con la prima definizone base con cui è stato colto. E tutto ciò impedisce di parlare di insegnamenti superati almeno, in ciò che hanno di legame essenziale con la Rivelazione.
    Inoltre non si tratta di parlare di “encicliche infallibili” ma, come per i documenti del Concilio, di insegnamenti ivi contenuti che possono avere questa caratteristica in virtù di costituire insegnamenti già definiti come tali o, di possederne le caratteristiche necessarie oppure, ripeto, trattandosi di insegnamenti oramai costantemente e universalmente insegnati.

  5. Avevo sostenuto che:
    1 ci siano discontinuita’ vere tra alcuni documenti preconciliari e alcuni documenti conciliari,
    2 l’invito di BXVI ad un’ermeneutica della continuita’ non volesse impedire un’ermeneutica
    con criteri accademici
    3 ma invitasse a mettere in luce la continuita’ dottrinale sul piano sostanziale
    4 che non escludeva discontinuita’ di altro genere.

    Ho poi aggiunto che:
    5 Discontinuita’ di altro genere, cioe’ che non infrangano la continuita’ dottrinale sostanziale
    possono derivare da tradizioni culturali non necessariamente cristiane.
    6 Che le encicliche non sono necessariamente espressione di insegnamento infallibile.
    7 Quindi che non e’ decisivo citare contro il Vaticano II, documenti di minor peso, anche se
    emessi da papi.

    Faccio questo elenco per comodita’ di riferimento, anche perche’ non mi e’ chiaro che cosa lei voglia sostenere.

    Prima pero’ provo a precisare alcune affermazioni perche’ le avevo risposto in modo generico, non conoscendo la sua posizione, probabilmente ho detto cose passibili di essere fraintese e/o interpretate molto male come negazioni di verita’ di fede.

    a. Per me era chiaro che parlando di insegnamenti superati non mi riferivo a cio’ che ha un “legame essenziale con la tradizione”, anche perche’ avevo ben distinto due tipi di tradizione, quella essenziale, interpretazione e sviluppo omogeneo del messaggio evangelico e tradizioni culturali, non derivanti dal Vangelo e talora ad esso contrarie. Ad es. il Sillabo raccoglie molte condanne precedenti e in questo senso “tradizionali”, ma ha lasciato e lascia molte perplessita’ perche’ le sue condanne non sembrano accettabili, cioe’ non essenzialmente legate alla Tradizione, anzi contrarie.
    b. Non mi sembra di aver indicato con “encicliche infallibili” altro di cio’ che dice lei.
    c. Detto questo mi va benissimo “sviluppo” del dogma invece che evoluzione. Lasci perdere l’organico, il biologico ecc..
    d. Non degradi le scuse pronunciate da GPII e cerchi invece di capirle, perche’ sono state un atto ufficiale della Chiesa. E’ vero sono state generiche, semplicistiche ecc. Quello che mi ha sempre impressionato negativamente e’ proprio il fatto che finora la Chiesa e’ stata incapace di autocriticarsi veramente, dicendo questo (affermazione non dogmatica) in quel mio documento era sbagliato. Anche l’invito alla continuita’ di B.XVI deriva dalla mancata chiarificazione e spiegazione delle “rotture”. Ma mi sono fatto una ragione pragmatica. Se gia’ tanto alte sono state le strida per quel poco che il papa ha detto e fatto, quali sarebbero state nel caso della sconfessione precisa di qualche errore, anche se non sulla dottrina essenziale
    e. La riflessione sulle responsabilita’ sociali era necessaria per smentire il solito alibi che i singoli possono sbagliare, non la Chiesa. Non cito Gregorio XVI, il Rosmini, il Consilium de emendanda Ecclesia fatto subito sparire. Ma se lei fornisce altre indicazioni storiche sulle responsabilita’ della Chiesa, la sua e’ un’altra voce e suonera’ meno pesante.

    • La riflessione sulle responsabilita’ sociali era necessaria per smentire il solito alibi che i singoli possono sbagliare, non la Chiesa.
      Semplificando al massimo dire che la Chiesa non possa sbagliare significa:
      a) per alcuni che la responsabilità di un singolo con molto potere non può ricadere su chi questo potere non ce l’ha, questo come indica la logica giuridica. D’altra parte se un lombardo ruba una mela non significa che tutti i lombardi siano ladri e nemmeno che lo siano tutti gli italiani.
      b) per altri che tutti gli eventuali errori imputabili alla Chiesa (se mai esistano) sono nulla perché la Chiesa ha capo Cristo il quale come Dio purifica tutto e tutti.
      c) infine altri uniscono i due precedenti punti e rispondono a) agli “estranei” e b) ai fedeli.

      Ovviamente tutto dipende da cosa si intende per Chiesa. Se per la Chiesa si considera solo la gerarchia romana allora è chiaro che alcuni sbagliando, hanno fatto sbagliare la Chiesa tutta. Ma il punto è che per dire questo bisogna ridurre la Chiesa a ciò che la Chiesa non è; quanto meno non è per la Chiesa stessa.
      Ovviamente per la maggioranza delle persone invece la Chiesa è solo “gerarchia romana” e pertanto le scuse sono comprensibili e dovute (e hanno fatto piacere).

      Allora la domanda è: chi stabilisce cosa è la Chiesa per poi far dipendere queste condanne e le responsabilità sociali?
      Se è la Chiesa allora le scuse sono un errore.
      Se è la società di oggi a stabilirlo, allora le scuse non sono errore e sono ascrivibili SOLAMENTE alla parte che la società stessa ritenga essere “la Chiesa” e in questo senso non c’è errore alcuno poiché semplicemente il successore di questa “Chiesa Gerarchica” ha chiesto scusa per gli errori di questa “Chiesa Gerarchica” che egli rappresenta oggi e che, per la Chiesa, non è affatto “la Chiesa stessa”.

      “Ma Giovanni Paolo II parlò di “CHIESA” intendendo la Chiesa tutta!”

      Sicuri? E’ scritto nero su bianco che questa è l’unica ermeneutica? Da quel che ricordo io: no! L’ermeneutica in continuità è dunque quella che ho scritto io. A par mio, ovvio.

  6. Molto è stato qui detto in replica all’articolo.
    Io mi limito ad un aspetto. Definire “errori” ciò che a noi tali appaiono dalla nostra prospettiva storico-culturale, è fare del moralismo storiografico e poco altro.
    Piccolissimo esempio: ammesso e non concesso che Gregorio XVI abbia effettivamente definito il treno un instrumentum diabolii, un contemporaneo indiano d’America non gli avrebbe poi dato torto…
    Altro esempio da nulla: ok Tommaso d’Aquino potrà pure aver esagerato con il suo ilemorfismo, ma la dinamica socioculturale era tale che qualche altro dopo di lui ci sarebbe arrivato lo stesso.
    Gli esempi nella storia della Chiesa sono infiniti.
    Nel caso del Sillabo, paradossalmente solo ora ci rendiamo conto del piccolo nucleo profetico che quel reazionarissimo documento conteneva.
    Solo ora che vediamo l’uso perverso che viene fatto di parole sacre e inviolabili come libertà e coscienza.
    E, non per fare cerchiobottismo, ci rendiamo conto di quanto inutili siano certi peli e contropeli sul Vat. 2, in nome di formulazioni precedenti: negli anni ’60 il mondo era praticamente un altro mondo, rispetto al precedente. Tra le due guerre mondiali e poco oltre si sono vissuti in mezzo secolo cambiamenti da ere geologiche.
    Forse però il cambiamento è tale che, oggi, chi pensa di stare col nuovo, invece sta già indietro e magari tornerà vero – come per il sommo Verdi – che tornare all’antico sarà un progresso.

    • Fra parentesi la frase di Verdi è perfetta da applicare alla Tradizione cattolica.
      Verdi difatti non la scrisse perché detestava le novità, anzi lui le cercava e le faceva proprie! Ma detestava chi inseguiva le novità SENZA avere alle spalle la conoscenza dell’armonia CLASSICA!
      A ben pensarci è così anche per la continuità della Tradizione cattolica.
      ecco una spiegazione splendida:

      “È di quel tempo – fra il 1870 e il 1871 – anche la famosa frase verdiana che fraintesa, in buona o mala fede, da tanti storici e critici e anche artisti, è stata causa di tante sciocchezze dette e scritte sulla musica: “Torniamo all’antico: sarà un progresso”. Ma V. – che invece di tornare indietro andava avanti, e che aveva allora appena scritto l’Aida, e avrebbe scritto ancora Otello e Falstaff – scrisse quelle parole di seguito a queste altre: “Le licenze e gli errori di contrappunto si possono ammettere e sono belli talvolta in teatro: in Conservatorio no”. Volle cioè dire: Tornate a studiare la grammatica o voi tutti che non la sapete più! E in tal senso furono parole giustissime che anche oggi gioverebbe a molti musicisti tener presenti: ma altro senso quelle parole non volevano avere e non hanno.”
      http://www.treccani.it/enciclopedia/verdi_%28Enciclopedia_Italiana%29/

      🙂

Scopri di più da Croce-Via

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading