E se Mic chiede dialogo…

intersezione

Towards C

… noi siamo prontissimi.
Il fatto: Mic nel suo ultimo post dedicato all’intervista del Papa (a breve anche noi metteremo qualche cosa, sapete com’è, abbiamo anche una gran bella vita a cui rendere conto) scrive sul finale due precisazioni secche. La prima suona così:

«Essere fedeli alla Tradizione non significa essere chiusi alle novità o essere ancorati alla chiesa pre-conciliare. Non esiste la chiesa pre e quella post conciliare: esiste la Chiesa punto. Essa è corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio in cammino. E noi non rifiutiamo il concilio. Solo che non lo vediamo come un nuovo superdogma e ci limitiamo a metterne in discussione alcuni punti controversi. Su questo vorremmo si potesse instaurare un fruttuoso dialogo con i nostri pastori, che sembrano aborrire l’odore delle pecore che amano la Tradizione, sia pur se esse non sono affette chiusure né da deformazioni ideologiche. Vogliamo dunque parlarne? Noi non apparteniamo ad un altro gregge, così come non facciamo parte di nessuna lobby, ché non ci riguarda!»

Pare proprio una richiesta di dialogo. Con i pastori ovviamente, non con noi di Croce-via.
Ma abbiamo l’ardire di sentirci chiamati in causa.
Non sarebbe male infatti tentare di instaurare un dialogo proficuo nel tentativo di comprendere le difficoltà che emergono dai moltissimi studi sul Vaticano II che Mic conosce (e ne conosce davvero tanti) e riconosce come autorevoli. Non per smontarli, quanto piuttosto per comprenderne insieme la portata ed eventualmente la validità. E confrontarli con gli altri innumerevoli che dicono l’esatto contrario di quelli che lei spesso cita.

Mi ha colpito nell’affermazione, la riga in cui Mic esprime ciò che è la Chiesa. Perfetta. E dove dice che la Chiesa non predica una morale ma è sacramento? Ma se è la stessa cosa che continua ad esprimere Papa Francesco!
Ed è su queste fondamenta che il dialogo va costruito.

Ma con un ma.
O meglio, con una precisazione.
Non si può assolutamente (!) prescindere dalla ricerca continua e senza scrupoli della continuità! Il Concilio va letto con “intenzione di continuità”! Non può essere letto, soprattutto nei punti controversi, né come rottura né come possibile rottura né come probabile errore di Magistero. Sono tre condizioni che non devono essere previste nell’ermeneutica conciliare perché decontestualizzano gli scritti, rendendoli facili prede di riletture tese a sottolinearne la possibile erranza.

E non lo diciamo perché è la nostra idea o per ingannarci. Ma perché è l’ermeneutica richiesta da chi ha avuto, aveva, e ha in custodia il deposito della cosidetta Tradizione.

Mic probabilmente mi dirà che se gli scritti fossero stati chiari non ci sarebbe stata bisogno di ermeneutica di continuità. Va innanzitutto analizzato un’ovvietà di fondo che questo argomento tralascia: l’ermeneutica è metodologia presente sempre e comunque, in ogni forma di comunicazione, metodologia spesso (ahimé) applicata in modo distorto e ignorandone l’esistenza.

Esempi di errori ermeneutici causa decontestualizzazione:
– Togliere contesto alle narrazioni evangeliche è distruggerne il significato: i Testimoni di Geova, per fare un esempio banale, ne sono la dimostrazione.
– Non tener conto dell’uditorio di alcune frasi, porta alcune critiche ad annullarsi perché completamente avulse dall’uditorio stesso. Non si può ad esempio lamentarsi del modo semplice (a tratti semplicistico) con il quale si parla della fede cristiana con i bambini di 6 anni.
– Una lettera ha dei contesti, narratari e narratori.
– Un’intervista ha contesto diverso, intervistatore che sceglie le parole da pubblicare, intervistato che può anche permettersi i voli pindarici dell’oralità.
– Un saggio accademico deve sottostare alle regole della scienza moderna per essere accettato, lamentarsi che un biblista in questa sede possa rileggere un dogma è non aver compreso il contesto.
E così via. Di esempi ce ne sarebbero a iosa poiché ogni comunicazione necessita, per essere comunicazione, di ermeneutica.

Questo significa che gli scritti conciliari sono chiari? No, significa al massimo che gli scritti Conciliari sono volutamente senza anathema sit (ed è un metodo di procedere che l’ermeneutica degli stessi DEVE tener conto!) e presentano un approfondimento dottrinale di una fede già molto profonda. Insomma non sono facili da comprendere.

La dimostrazione l’ha fornita il dibattito avvenuto su queste pagine fra Simon, Marco e Beppe sulla libertà. Dibattito che non è certo finito, ma che di fondo possiede quella ricerca di continuità da parte di tutti gli intervenuti. E’ questo che rende proficuo il lavoro. E difatti è su questo terreno che lavorano alcuni degli intellettuali cui è solita affidarsi Mic come Livi o Lanzetta. Il primo soprattutto appalesa la sua chiara intenzione ogni due per tre.

Mi si conceda questa analogia marina, la quale va presa ovviamente con le pinze (ed è l’ermeneutica dell’analogia ad obbligarci!).
Su una stessa barca nessuno dei rematori è interessato a remare contro gli altri con il rischio di ribaltare la barca stessa. Un rematore libero di pensare potrà invece chiedersi dove si sta andando, quindi smettere di remare e chiedere al vicino che rema forsennatamente perché lo fa. E se la risposta biascicata e senza argomenti che porta non soddisfa, potrà chiedere ad un altro che sorridendo rema tranquillo.
Ma lo fa sapendo che la barca deve proseguire e che c’è bisogno anche della sua remata.
E che più le remate si fanno simili, più la barca viaggia spedita.

Tutti dunque dobbiamo pensarla allo stesso modo?
Naturalmente no. L’analogia fa riferimento ai principi cardine del dialogo che poi sono il cardine del Magistero stesso.
La continuità, appunto.



Categories: Ermeneutica della continuità, Sproloqui

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10 replies

  1. Caro Kerygmatico,
    non sono d’accordo con il tuo grafico: cercare l’intersezione tra A e B non conduce a tanto (et-et) ma neanche lo sarebbe l’unione tra i due insiemi (vel-vel). Ci vuole gente che abbia il coraggio di cercare un insieme C piu largo che includa A e B… ma ne progressisti , ne tradizionalisti hanno il fegato per provarci, rinchiusi come sono nei loro “-ismi”.
    In Pace

  2. Con l’intervista siamo arrivati ad un punto di svolta, primo perchè al (super) Concilio ha dedicato uno scarso paragrafetto secondo perchè, con questa frase: “Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità…” dichiara che c’è stata una ROTTURA con il Concilio che Francesco non NEGA e quindi leggitima la linea Gherardini e SPX (che parlano di rottura). Pertanto la lettura “continuista” alla Morselli, alla FI, è bella che da cestinare!

    Il resto della frase non vuol dire assolutamente nulla riguardo alle tematiche del Concilio, frase poi assolutamente condivisibile! ma la riporto per corretezza “tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile”.

    • Non l’ho capita cosi quella frase, Don Camillo. Io l’ho capita non da un punto di vista dottrinale ma di pastorale pratica, come tutto il contesto dell’articolo in questione indica . Cioè, Papa Francesco ci dice che ci sono persone (linee) che la pensano a sinistra e altre a destra, ma, “ragazzi, andate al sodo, la lettura del Vangelo data dal Conclio è quella della Chiesa, fatevene una ragione!”
      In Pace

      • Amen. Lo leggo anche io così come Simon. E’ come dire: “possiamo cercare mille e un modo di leggere i testi (qualsiasi testo…), quello che conta è che quel testo è imprescindibile e quel che ha lasciato irreversibile.”
        Scusate se è poco.

      • Simon, come al solito sei un po’ spiccio, però sì è vero, come è vero secondo me che F1 sia pronto a sdoganare nella Chiesa l’esperienza della Tradizione, così come più volte ha chiesto Fellay.

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