VETUS ET NOVUS ORDO (IV): Continuando la riflessione con P. Augé.

S.d.D. Paolo VI estensore della riforma di S. Pio V

S.d.D. Paolo VI estensore della riforma di S. Pio V

Vorrei riportare qui una conversazione che sto avendo con l’utente Giovanni Pierluigi sul blog di Augé in quanto mi aiuta ad illustrare il mio approccio, sempre nel senso di una pacificazioni tra i tenenti dei due riti, dapprima a livello teoretico in seguito pastorale, alfin di vivere un “bi-formalismo” adulto nelle parrocchie e rispondere alla domanda posta da P. Augé anche discussa qui e qui.

In una prima domanda Gionanni Pierluigi mi chiede:

“Symone di Cirene, io non ho mai messo in dubbio la legittimità del messale NO, che peraltro è quello che viene utilizzato nella messe che frequento. Tuttavia credo di poter dire senza chiedere permesso che, a seguito di una lettura personale della Sacrosanctum concilium, mi sono reso conto con crescente disappunto che ciò che vi sta scritto non corrisponde a molto di ciò che è stato fatto...”

Al che ho portato la seguente risposta:
Capisco che Lei desidera avere un punto di riferimento con il quale paragonare quel che succede nelle parrocchie e quel che il Magistero possa aver detto: ma l’insegnamento della SC per quanto sempre valida si riferisce in primis alla messa detta V.O. quale si celebrava allora ed è difficile voler applicare tale e quale quelle raccomandazioni alla forma paolina che ancora non esisteva.
Né credo che si abbia il diritto di voler limitare la potestà del Vescovo di Roma sulla base di direttive conciliari precedenti se non in quelle richiedenti un grado di assenso al Santo Padre superiore a quello della Sua stessa podestà in materia liturgica… il che non mi sembra sia stato il caso.

 

Giovanni Pierluigi chiede quindi:

“Gentile Simone, non mi è tanto chiaro ciò che intende dire: vuole dire che siccome quando fu scritta la costituzione sulla liturgia non esisteva ancora il Novus ordo, allora il concilio è superato e non si applica alla nuova liturgia riformata? Non sono d’accordo. Io ritengo che la nuova litugia dovrebbe essere l’applicazione del concilio. Se ci sono parti incongruenti (e ce ne sono parecchie, ad esempio tutto il capitolo VI) va cambiata la nuova liturgia”.

Al che rispondo:

Sì intendo proprio questo: la SC si riferisce direttamente al V.O.
Secondo me, Paolo VI, decidendo di “allargare” la nozione di Rito romano della Chiesa latina, introducendo altri canoni, era tenuto a seguire le indicazioni generali della SC ma non quelle particolari specifiche proprio al V.O.
Questa è giusto un’opinione mia, ovviamente.

 

Infine, chiudendo, Giovanni Pierluigi chiede una precisione finale:

“E’ un’opinione interessante, ma vorrebbe dire che la Riforma liturgica non è l’applicazione del Concilio, ma qualcosa d’altro. Tuttavia nè Paolo VI nè quelli venuti dopo hanno mai dichiarato una cosa del genere, anzi a parole si sono sempre detti grandi ammiratori del concilio e desiderosi di metterlo in pratica. Salvo poi fare, come tu osservi, diversamente da ciò che dice il concilio. E’ questo che non capisco”

 

E finalmente do il mio ultimo parere:

E’ un fatto che il messale Paolo VI introduce altri canoni, quindi non si può davvero dire che sia la continuazione del rito tridentino, per stessa definizione.
Non vedo una necessità particolare per Paolo VI di applicare la SC se non come causa lontana e non prossima: quindi sì, può essere visto come applicazione del Concilio nell’interpretazione che  il Magistero di Paolo VI ne ha fatto dopo il Concilio stesso: quindi legittimo.

Aggiungerei a questo il fatto che la SC sia stato il primo documento accettato e votato e probabilmente senza ancor tener conto di tutti chi sviluppi ecclesiologi che il Santo Sinodo fece in seguito: l’opinione di P. Augé sarebbe interessante a questo punto.
Potrebbe essere che il Santo Padre abbia considerato che non fosse possibile tener conto dell’ecclesiologia sviluppata durante il Concilio nel quadro della definizione di rito romano limitato a quello tridentino, da dove la necessità di estenderne la definizione.

Come conseguenza avremmo il rito paolino perfettamente in linea con il Concilio anche se non applicante l’integralità della SC che non si riferisce a esso ma al rito tridentino strictu sensu.

Spero che questo scambio apra persperttive per ulteriori discussioni e non per ulteriori conflitti

A presto

In Pace



Categories: Liturgia e Sacra scrittura

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1 reply

  1. Il problema della convivenza dei riti non esime dal fatto che la forma ordinaria abbia degli aspetti critici, in accidente, ma ce li ha. Rimandare la discussione alle riforme necessarie al rito (ogni rito è sempre stato modificato) perché, in fin dei conti, va tutto bene così è argomentazione uguale a quelli che sostengono che la forma straordinaria sia perfetta. La forma ordinaria presenta, ad esempio, un calendario che non è ben strutturato: si sono perse feste e ottave importanti (Pentecoste) oppure si sono spostate e se ne è persa la collocazione originaria. Oppure manca una serie di “apparato direttivo” che consenta di avere una forma missae di base piuttosto uniforme (nel nome della pastorale si vedono adattamenti che fanno rabbrividire). La ricchezza del Messale non è espressa in toto perché spesso chi celebra tende sempre a farlo in maniera uguale.
    A me fa specie che non si voglia parlare di questi aspetti e si derubrichi sempre la cosa: è questa specie di inviolabilità della situazione presente (inviolabile perché metterebbe in discussione di tanti riformatori ancora in vita?) che allontana le persone dotate di senno dal prendere parte alla liturgia.

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