VETUS ET NOVUS ORDO (III): continuando la riflessione con P.Augé.

S.d.D. Paolo VI estensore della riforma di S. Pio V

S.d.D. Paolo VI estensore della riforma di S. Pio V

Sui siti oltranzisti del tradi-protestantesimo viene sempre ricordata la Quo Primum Tempore di San Pio  V che condanna ogni modificazione al rito tridentino stesso, cercando di trarre da quest’argomentazione giuridica l’impossibilità da parte di un Papa di abrogare tale rito. Questo conduce spesso la discussione al sapere, a mio parere ozioso, se fosse stato lecito o no introdurre un nuovo rito “creato a tavolino”, quello di Paolo VI, per giunta considerato in rottura con il primo.

Ho deciso di portare al discorso e al dialogo una nuova angolazione che ho già accennato brevemente nei miei posts precedenti oppure in certe risposte, ma che vorrei precisare al fin di avere, almeno, un linguaggio comune quando trattiamo di certi concetti.

Per fare ciò preferisco, per chiarezza e per distacco emozionale, utilizzare un’immagine tratta dalla teoria degli insiemi per poi applicarla, mutatis mutandis, al caso della relazione tra le due forme liturgiche del rito latino.

Supponiamo avere il concetto di triangolo isoscele equilaterale in legno di cedro dorato: esso è definito dalla categoria geometrica di essere un triangolo, ed è individualizzato dal fatto di essere equilaterale, dotato degli accidenti di essere fatto in cedro ricoperto di foglio d’oro.

Consideriamo adesso l’insieme delle categorie geometriche dei triangoli: questo contiene i triangoli isosceli, rettangoli, scaleni, equilaterali eccetera

Rito Romano e le sue varie Forme

Rito Romano e le sue varie Forme

Vi è poi l’insieme degli accidenti materiali come il legno di cedro, di mogano  eppoi l’insieme delle materie di superficie come l’oro, l’argento, il rame, eccetera.

Il nostro concetto di triangolo isoscele equilaterale in legno di cedro dorato è dunque all’intersezione dei tre insiemi su citati.

Vetus Ordo

Vetus Ordo

Consideriamo adesso un triangolo scaleno di mogano ricoperto di un foglio di argento: diversi atteggiamenti sono possibili (1) possiamo dire che in virtù dell’apparenza generale esso non ha niente a che vedere con il primo triangolo considerato e non son riconducibili l’un  all’altro, (2) possiamo dire che pur sempre di un triangolo si tratta, (3) possiamo dire che è una deformazione del primo triangolo, (4) possiamo dire che è più brutto o più bello o più funzionale o meno utile che il primo triangolo.

Deformato, detratto, cambiato: condannato da Quo Primum Tempore

Deformato, detratto, cambiato: condannato da Quo Primum Tempore

Procediamo con un po’ di astrazione: in fin dei conti nei due casi sempre di triangoli si tratta anche se non solo dei triangoli isosceli equilateri: se io voglio quindi generalizzare il mio concetto di triangolo equilaterale, fermo restando che debbano rimanere triangoli, posso introdurre nuovi concetti di triangoli che non sono equilateri.

Possiamo dire che vi è rottura tra un triangolo scaleno ed uno equilaterale? Sì, nel mio modo di “costruzione” del concetto, se guardiamo gli accidenti specifici; no se guardiamo al fatto che hanno in comune la stessa natura triangolare.

Se guardiamo un triangolo retto di legno di cedro dorato con uno isoscele con legno di cedro dorato potremo (1) notare che hanno gli stessi accidenti materiali, (2) che hanno la stessa natura triangolare, (3) che sono differenti nel loro aspetto formale in quanto uno è retto e l’altro è isoscele: ovviamente il primo non sarà mai il secondo.

Mutatis mutandis, possiamo, analogicamente considerare la messa tridentina come un triangolo isoscele, di cedro ricoperto d’oro concettualmente parlando, mentre la messa paolina, che è più un canovaccio, come un triangolo scaleno, la cui materialità precisa ( cedro, mogano, querce stando per lezionari e santorali) è ben definita ma la cui superficie ( oro , argento, platino per le rubriche) non sono state (tutte) definite. L’insieme di triangoli, cioè quello definito dall’essenza stessa di essere un triangolo , corrisponde al Rito della Chiesa Latina definito e protetto da chi ne è in carica, cioè il Romano Pontefice.

Questo non è Vetus Ordo

Questo non è Vetus Ordo

A questo punto, se guardiamo la Bolla Quo Primum Tempore  di Pio V, essa codanna che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato”, ma di certo non dice niente quanto al fatto che ci possano essere altre forme del rito romano .

Quel che Paolo VI ha fatto è chiaramente quello di aver messo a posto una definizione più larga di Rito romano, non limitato a quello tridentino e di averne posto alla luce le forme, mai abrogando il rito tridentino e, perciò, de facto, mantenendolo in quanto manifestazione genuina del Rito romano come poi ha formalemente fatto Benedetto XVI.

Vi è quindi continuità nella natura tra la forma ordinaria e quella straordinaria, in quanto ambo partecipanti alla natura di essere Rito Romano della Chiesa latina ma vi è anche rottura e asimmetria per differenza di forma per due ragioni: (1) non solo perché l’una essendo triangolo isoscele e l’altra triangolo scaleno hanno un’essenza diversa malgrado la stessa natura triangolare, ma (2) anche perché l’ ordo tridentino include la descrizione delle materie accidentali, quali il cedro ed i foglio d’oro, mentre l’ ordo paolino si accontenta di descriverne l’essenza generale ricordandone la natura e la materia (il mogano)  ma, parzialmente,  senza la superficie (rubriche molto più libere).

Da qui la difficoltà concettuale che impedisce gli amanti della forma tridentina nel poter dialogare con calma con quelli della riforma paolina (1)  con elementi portati dai primi sull’uso della foglia d’oro o no o del mogano o no mentre (2) ai secondi il problema verte sull’essenziale triangolarità della loro riforma che meglio realizza il concetto che la Chiesa ha del triangolo, non più solo equilaterale ma anche scaleno.

Parlare della coabitazione delle due forme del rito necessita quindi rendersi conto di questa asimmetria e trovare soluzioni pastoralmente e liturgicamente sensate. Prima di tutto rendersi conto da parte tradizionale che la forma paolina non è una deformazione della messa tridentina, ma pienamente una sua estensione che è parte integrante del rito romano. Secondo,e la parte “paolina” deve ricordarsi che se la forma tridentina è un caso particolare, lo stesso esprime la triangolarità della sua essenza, in quanto “in nuce” ogni triangolo equilaterale è scaleno anche se il contrario non è vero.

Forma ordinaria e forma straordinaria dell'unico Rito Romano

Forma ordinaria e forma straordinaria dell’unico Rito Romano

Da un punto di vista pratico, coabitazione vuol dire lavorare a più livelli: (1) riscoprire quale sia l’essenza del rito romano alla luce del Concilio (non solo nella S.C. ma anche sull’ecclesiologia da Esso sviluppato) e cercare di trovarne gli elementi non nel cedro né nell’oro ma nell’essenza stessa del rito tridentino e stabilire l’unità di natura col rito paolino e, solo poi,  chiarificando le differenze accidentali tra rito isoscele e rito scaleno; (2) pastoralmente parlando, assicurarsi che nel VO ci sia legno di mogano come nel NO, al fin di garantire pratico comune “sentire cum Ecclesia” (3) sempre pastoralmente parlando, e lì dove questo faccia pastoralmente senso,  assicurasi che i materiali di superficie che sono le rubriche siano insegnate ed applicate a chi pratica il NO, in quale è duttile a questo riguardo,(4) il tutto ovviamente lungo un’evoluzione omogenea ed organica non volendo trasformare un triangolo isoscele in uno retto e ridurre quello scaleno ad uno isoscele.

In Pace



Categories: Liturgia e Sacra scrittura

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28 replies

  1. Dunque, innanzitutto sul tuo ultimo paragrafo, primo punto, già Augè oggi ha risposto, rispondendo a Don Morselli

    http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-risposta-a-don-alfredo-morselli-sulla-fedelta-al-concilio-della-riforma-di-paolo-vi-119867799.html

    Riguardo all’immagine del triangolo, mi piace. Mi piace perché il triangolo è la classica esemplificazione delle qualità intrinseche di una sostanza o di un concetto. Quando scrivi “triangolo” scrivi indirettamente e NECESSARIAMENTE “forma geometrica con somma dei lati di 180°, qualsiasi sia il tipo di triangolo. Così è la messa cattolica. Dire “messa cattolica” è dire indirettamente e NECESSARIAMENTE Memoria e Sacrificio di Cristo, qualsiasi sia il tipo di messa.
    Ovvio che sto esemplificando in modo semplice. O meglio sto andando all’essenza. Poi ci sono le qualità del triangolo e gli accidenti dello stesso che tu hai qui esemplificato.

    Solo una cosa: in questa tua analogia che posto occupano le cosidette parti “obbligatorie” del rito, quelle senza le quali non c’è Sacrificio e quindi nemmeno “messa”? Fa parte dell’essere triangolo oppure è nella sua forma? Naturalmente se sono obbligatorie non dovrebbe dipendere dalla forma in cui si esplicano, ma dal fatto che ci sono sicuramente, che sono “triangolo”. Solo che non è così semplice. Non si dice spesso che “anche la forma crea significazione”? Oppure, seguendo l’analogia, è tutto un costrutto inutile a tuo dire? Cioè: che la messa è sacrificio anche se, per assurdo, quest’ultimo prende forma in modo minimo (e non è il caso della riforma Paolo VI eh!), oppure anche il modo di formulare il rito sacrificale tratteggia il sacrificio stesso?

    Forse non mi sono spiegato. O forse sto forzando troppo l’analogia che, appunto perché analogia, non può avere tutti i tratti uguali alla realtà che intende descrivere. Altrimenti sarebbe quella realtà che andiamo descrivendo e non una realtà analoga… 🙂

    • Si, Kerygmatico ti sei spiegato.
      Nello spirito dell’analogia “le parti obbligatorie” fanno parte dell’essenza stesso di cosa sia una triangolo.
      Ma, il mio post voleva soprattutto proporre uno sguardo rinnovato non conflittuale tra le due forme, per uscire dalle trincee , tipo “il mio è meglio del tuo”…
      Grazie per il Commento.
      In Pace

    • E questa la risposta della risposta che pochissimi minuti fa don Morselli ha dato al Padre Augè : http://blog.messainlatino.it/2013/09/la-coesistenza-di-antico-e-nuovo-rito.html

      • Grazie! Ci avevi visto giusto Andrea, qualcosa si muove! 🙂

      • Grazie Andrea,
        quel che mi dispiace in quel tipo di discussioni tra P. Augé e Don Marselli è che ci si trovi ancora a discutere di chi ha la messa la migliore senza vera metodologia per fare avanzare il discorso: cioè gli argomenti sono presentati in un modo tale che uno dei due debba soccombere o i due tacere dopo un po’.

        La mia ambizione di bloggista, anche con il post proposto qui, sarebbe quella di stabilire una struttura che permetta il dialogo invece del confronto, al fine di massimizzare l’uso positivo delle differenze invece di fissarsi su esse con scopo riduttivo: NON E’ CON UN MINIMO COMUNE DENOMINATORE che si andrà avanti ma con lo sviluppo di UN MASSIMO COMUNE MOLTIPLICATORE che le sinergie dei due “campi” saranno utilizzate al meglio.

        Ad esempio perché non cominciare a definire cosa sia un Rito Romano, in generale, nella sua essenza e già non cercare di mettersi d’accordo a questo livello: cosa sia la natura di questo rito. E, solo ben dopo, guardare in cosa l’essenza della forma ordinaria e di quella straordinaria realizzano tale natura e tutto ciò evitando di entrare in tipologie accidentali troppo presto?
        In Pace

        • NON E’ CON UN MINIMO COMUNE DENOMINATORE che si andrà avanti ma con lo sviluppo di UN MASSIMO COMUNE MOLTIPLICATORE che le sinergie dei due “campi” saranno utilizzate al meglio.

          Wow!!!

  2. Riguardo invece al fatto che il VO non fosse mai stato abrogato.
    La mia visione è di pura sospensione del giudizio per ora. Tu sei con Benedetto XVI, scusa se è poco.
    Però accidenti non posso non esimermi dal prendere personalmente in considerazione, PERSONALMENTE EH!, le riflessioni di Padre Augé che trovi qui.
    http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-un-tormentone-il-messale-del-1962-abrogato-74030144.html
    nel quale scrive: “Ma oggi, parlare ancora di rito mai abrogato giuridicamente, è solo una scocchezza, una paraculata come si dice a Roma. Di cui il papa si serve per fingere di non avere restaurato niente e quindi di non essere reazionario, e i tradizionalisti timorosi di essere “scismatici” a causa dell’amore per i pizzi si servono, per fingere obbedienza al papa e alla legge.”
    senza arrivare a citare il Sekada che come sedevaticanista è praticamente irrazionale, ma come raccoglitore di informazioni non è niente male:
    http://lepaginedidoncamillo.blogspot.it/p/il-novus-ordo-e-stato-imposto.html

    Do forse ragione a loro?
    La lana caprina la lascio a chi dovere (cioè ai liturgisti) e non la uso per costruirci missili contro il Magistero a cui credo (non voglio essere incoerente come i sedevaticanisti)! Punto. Detta questa ovvietà possiamo cioè passare OLTRE la problematica se il VO fu mai abolito o meno (con conseguenti problemi sulla validità sacramentali delle messe VO fatte subito dopo la data della presunta abrogazione ecc). Posso anche tentare una mia visione personale, ma è questione SECONDARIA rispetto all’oggi.
    Oggi il VO è considerabile valido. Bene, partiamo da qui.
    Ragionare sul fatto se il rito fu mai abrogato oggi è come fare la storia di una storia che stai vivendo, a mio avviso si può fare, ma è poco prudente. 🙂

    • Su questo soggetto, mi limito a dire che tra due opinioni equivalenti mi attengo a quella più autorevole: in questo caso di chi è in carica di custodire il Rito romano, cioè il Vescovo di Roma.
      Autorevolezza che è andata fino a promulgazioni di diritto con il S.P…..
      😉
      Non ne farei un dogma di fede e non è il nocciolo di quel che intendo dire, anche se è mia opinione.
      In Pace

      • Anche io so di dover star con Ratzinger intendiamoci. Notato le parole accuratamente scelte?! 😉
        Semplicemente non posso non notare che da un punto di vista PRETTAMENTE (e solamente) GIURIDICO, a detta di qualcuno che ne sa più di me di diritto canonico, Paolo VI parrebbe aver voluto abrogare il rito antico.
        parrebbe
        a detta di alcuni
        aver
        voluto

        So benissimo che questi termini sono manna per chi dice che oggi “la Chiesa non parla più chiaramente” ed è tutto relativo e non c’è più il sisisi e il nonono e patapim e patapam e due scatole grosse così 😛
        Come dici tu: non ne farei un dogma e non è un fattore primario di quanto scrivi. Esattamente quello che dicevo io.

        Piuttosto… mi piacerebbe chiedere a Don Barbaglia se ci spiega cosa intendeva dire Gesù con il suo “sisisi e nonono” tanto citato dai tradizionalisti. Pian piano si stanno formando le domande per una possibile intervista… 🙂

    • Sinceramente a me pare piuttosto una sciocchezza ipotizzare una abrogazione giuridica, perché letteralmente non esiste e Benedetto XVI non ha fatto altro che prenderne atto col pieno consenso del Collegio cardinalizio. Il dissenso di qualche liturgista non cambia certo questa realtà.

      Consiglio una rilettura molto attenta del MP SM per comprendere che il rito romano è uno, non sono due. Il Papa ne fa una ricognizione e vede che ciò che di fatto è venuto a stabilirsi è un “uso”, una “forma”, una “espressione” rinnovata, che tuttavia non ha dato di fatto piena e coerente attuazione ai disposti della SC, e questo è lampante.
      Si tratta allora di riprendere il filo della Costituzione concliare per rinnovare in modo coerente il Rito che fu proprio nella celebrazione dei Padri conciliari e che costituisce ancora oggi tradizione pienamente vivente, senza con ciò disconoscere il nuovo uso, ma depurandolo dalle storture che hanno attentato alla sua identità.

      • “Si tratta allora di riprendere il filo della Costituzione concliare per rinnovare in modo coerente il Rito che fu proprio nella celebrazione dei Padri conciliari e che costituisce ancora oggi tradizione pienamente vivente, senza con ciò disconoscere il nuovo uso, ma depurandolo dalle storture che hanno attentato alla sua identità.” scrive giuseppe: concordo che questa sia una via possibile e, forse, dovuta.
        In Pace

      • Mi rileggo per bene tutto appena ho due minuti. Intanto grazie giuseppe del passaggio e del commento. Trovo anche io che la “depurazione” del rito sia doverosa, ma con una domanda. Se per fare qualcosa di sacro, come scrive Augé, è per San Tommaso “totus exterior cultus Dei ad hoc praecipue ordinatur ut homines Deum in reverentia habeant…” (S. Th. I-II, q. 102, a. 4 co), dunque serve fede e reverenza, come si dimostra OGGI la reverenza?
        E’ possibile tracciare un’oggettività della reverenza? Cosa intendeva Tommaso con Reverentia? E come si può tradurla oggi? Il dizionario dantesco cita: “confessione di debita subiezione per manifesto segno, è cioè il sentimento di ossequioso e devoto rispetto che, per un intimo e spontaneo riconoscimento della propria inferiorità, i soggetti a un’autorità superiore provano nei confronti di questa, attestandolo con il proprio comportamento esteriore.”
        http://www.treccani.it/enciclopedia/reverenza_%28Enciclopedia-Dantesca%29/
        Per la Treccani
        “Sentimento di profondo e quasi timoroso rispetto”

        Dunque è questione di rispetto. Ma quanta oggettività c’è nel concetto di “rispetto”? Io non ho mai letto considerazioni riguardo a questo nelle discussioni. Mai letto di uno che analizza quanta soggettività esista nel concetto di rispetto e se filosoficamente il concetto di “rispetto” possa avere dei caratteri oggettivi nella sua ontologia.
        La mia reverenza al santissimo è solo inginocchiarmi come vogliono far credere i tradizionalisti oppure questo è UNA SOLA FORMA di come può essere considerata la reverenza nello sfaccettato ambito umano?

        Aaaaah, che bello! Finalmente un posto dove posso mettere tutte le domande che da anni voglio fare e non trovo mai dove farle! 🙂 Un posto dove discutere e buttar fuori tutto.
        Ce la concedete un pò autoincensazione? 😛

        • Per rispondere, credo che mi farei prima una ripassatina della nozione di “pietas”
          😉
          In Pace

          • Bene! E’ una partenza. Ma la mia domanda è ancor più radicale: quello che intende la tradizione cristiana con “pietas” è possibile estenderla universalmente all’uomo tutto? E’ un tratto sostanziale dell’uomo, è un tratto sostanziale con accidenti culturali e sociologici oppure è un tratto nella forma puramente accidentale che cerca di rispondere ad una esigenza inarrivabile e sostanziale?
            Per intenderci: sono certo che il tomismo si sarà chiesto queste cose e se io non le conosco è pura mia ignoranza che possono risolvere leggendo eventuali libri che potete consigliarmi.
            Ma la radicalità della domanda travalica questo. Cioè: supposto che il cristiano ha la risposta se il concetto di “pietas” è oggettivo e quanto è oggettivo, è possibile oggi giorno ancora propugnare questa filosofia? Ad esempio a Ratisbona, Ratzinger si chiedeva: “A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?”

            Ecco, la mia domanda ha una pretesa simile. 🙂

            Grazie Simon!

          • Onestamente, pensavo alla “Pietas” romana o greca…..
            In Pace

          • Ok, basta domande stupide, devo studiare.
            Se hai letture da consigliarmi son tutt’orecchi. 🙂

        • @Kery…Aaaah! pochi, buoni e liberi da….ci spero! Hai letto che la mia proposta a Mic di leggere il tuo post come risposta al suo non ha attaccato? Mi dispiace….

          • YEs, ti ringrazio. Per me oramai è quasi terra bruciata lì. E va beh. Piuttosto ho notato come ha glissato elegantemente. Non c’è problema, capiterà ancora di poterne discutere. 🙂

  3. At the end of the day, down the line:
    cosa fa che un rito possa essere detto romano?
    Cosa fa che un una figura geometrica possa essere detta triangolare?
    In Pace

  4. Per condividere meglio la mia comprensione (da incompetente) della questione, richiamo la vostra attenzione su una disposizione specifica del Papa Benedetto XVI, ripresa dalla Pontificia commissione ED:
    1. Nella lettera ai Vescovi del 2007:
    “…nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. ”
    http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2007/documents/hf_ben-xvi_let_20070707_lettera-vescovi_it.html
    2. Nell’Istruzione del 2011:
    “25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi [9], secondo la normativa che verrà indicata in seguito.”
    http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_commissions/ecclsdei/documents/rc_com_ecclsdei_doc_20110430_istr-universae-ecclesiae_it.html
    Queste sono cose che “dovranno” essere fatte, e si può pensare che la stessa Pontificia commissione, nella quale il Papa Francesco ha riportato Mons. Pozzo, ci stia lavorando.
    Non si rinnova una forma liturgica archeologica salvata per confortare pochi nostalgici o tradizionalisti; si rinnova una Liturgia viva.

    • Ok, è palese che il Magistero la ritiene viva. Grazie Giuseppe.
      Certo questi documenti che ci citi dimostrano che il Magistero (o almeno Benedetto XVI) aveva una certa idea di cosa fare con il VO e sembrano avvicinarsi alle richieste di Simon di variarlo in alcune sue parti. Tu cosa ne pensi Giuseppe?

      • Carissimo, non ho una mia opinione personale perché sarebbe abusiva. Penso che il minimo per aver titolo a esprimere opinioni o suggerimenti in questa materia sia di esser ministri ordinati.
        Cerco solo di orientarmi, attraverso il magistero e le leggi del Romano Pontefice, per capire e vivere sempre meglio la Sacra Liturgia.

        • Mi trovi d’accordo. Tant’è che chiedo al massimo opinione personale, non chiedo “critica” alla Radaelli. 🙂 Però forse è meglio effettivamente soprassedere anche a domande come queste. O forse farle alle persone adatte. Grazie Giuseppe, anche e soprattutto per il rispetto e la prudenza che avanzi!

    • Definitivamente il mio pensiero andava lungo questi cantieri proposti dal Papa Emerito.
      In Pace

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