L’Ermeneutica della continuità dimostrata (II)

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Rottura o continuità….

Nel primo post su questo soggetto in risposta alla critica sollevata superficialmente in certi ambienti tradi-protestanti  quanto al fatto che l’ermeneutica della riforma nella continuità non era mai stata dimostrata, abbiamo voluto mostrare quanto falsa fosse quest’affermazione dando come esempio la dimostrazione stessa che aveva fatto in suo tempo l’attuale Papa Emerito Benedetto XVI di un’applicazione concreta di questo principio ermeneutico al caso specifico della questione sulla libertà religiosa.

Per illustrare la fondatezza di questa ermenutica della riforma nella continuità il Santo Padre non si era, però, limitato a darne un esempio applicativo, ma aveva anche mostrato che essa non era giusto un’idea peregrina e casuale ma una realtà coscientemente ben fondata nell’intenzione stessa del Magistero eppoi ne aveva anche inquadrato le ragioni filosofico-teologiche che la rendevano non solo plausibile ma addirittura necessaria come anche ben fondata teologicamente.

Nel suo discorso del 22 dicembre 2005, S.S. Benedetto XVI procedette nel senso inverso con il quale con il quale presentiamo la sua dimostrazione dell’ermeneutica della continuità su questo blog: dapprima dette le ragioni ontologiche, poi ricordò che tale è ben stato l’atteggiamento del Magistero ed infine illustrò il suo proposito con il caso particolare della libertà religiosa.

Per illustrare quanto il fatto che la l’ermeneutica della continuità sia stata realizzata nei documenti del Magistero non fosse solo fortuita o una “costruzione a posteriori” ma il risultato di un’intenzione esplicita, Benedetto XVI  ricorda come quest’intenzione di continuità sia stata espressa prima, durante e dopo la celebrazione del Sacro Santo Concilio Vaticano II.

Prima: Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962  dice che il Concilio vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti e continua: Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” 

Vi troviamo quindi la stessa distinzione operata da Benedetto XVI circa i principi che non possono essere intaccati, chiamata qui dottrina certa ed immutabile e gli elementi circostanziali che possono cambiare senza intaccare il senso e la portata del deposito della fede.

Benché nel suo discorso alla Curia Benedetto XVI citi direttamente Papa Giovanni XXIII in relazione alla continuità ermeneutica e Paolo VI per  il posizionamento del Concilio nel contesto storico culturale nel quale è stato celebrato,  non si possono non ricordare le parole seguenti di  Papa Paolo VI nello stesso discorso di conclusione del 7 dicembre 1965 :

“Ma non possiamo trascurare un’osservazione capitale nell’esame del significato religioso di questo Concilio: esso è stato vivamente interessato dallo studio del mondo moderno fino al punto da suggerire ad alcuni il sospetto che un tollerante e soverchio relativismo al mondo esteriore, alla storia fuggente, alla moda culturale, ai bisogni contingenti, al pensiero altrui, abbia dominato persone ed atti del Sinodo ecumenico, a scapito della fedeltà dovuta alla tradizione e a danno dell’orientamento religioso del Concilio medesimo. Noi non crediamo che questo malanno si debba ad esso imputare nelle sue vere e profonde intenzioni e nelle sue autentiche manifestazioni.”

Mostrata quale era l’intenzione di chi aveva convocato il Concilio e di chi l’aveva celebrato e rato, Benedetto XVI ricorda l’errore teologico fondamentale di chi vuole vedere una rottura tra l’insegnamento del Concilio ed i principi che fondano la Chiesa:

Costoro affermerebbero  che “ Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio: questo errore lo fanno sia i progressisti che i tradizionalisti non tradizionali, i primi per tirare la coperta a sé e introdurre novità a-cattoliche, i secondi per far portare le “colpe” di tali novità al Concilio stesso dal quale si vogliono esimere dall’obbedire.

Risponde Benedetto XVI: “ I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore … I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48) …  In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola.”

 Dopo aver ricordato il Magistero di Benedetto XVI l’ermeneutica della riforma nella continuità e la dimostrazione che ne ha fatto, nei prossimi interventi riporteremo e commenteremo altre dimostrazioni fatte da emeriti autori che la giustificano teologicamente e filosoficamente come anche che l’applicano a certi casi particolari: così che mai più sia ripetuto in buona fede che non è stata dimostrata!

In Pace



Categories: Ermeneutica della continuità

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3 replies

  1. Il modo di procedere di Ratzinger in quel discorso è esemplare. Come ben sanno i tomisti non sono i tanti esempi che formano il principio, ma è il principio che fa gli esempi. E una volta che il principio è chiaro, coerente e logico di esempio ne basta uno.
    Quanti ne fece il Papa?
    Appunto.
    Inutile: i discorsi di Benedetto XVI sono di una lucidità disarmante.

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